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Alta Normandia: la Côte d’Albâtre
(Il presente articolo è stato già pubblicato in passato sulla rivista cartacea)
Bianche come alabastro!
Candide scogliere a picco che precipitano in acque dalla trasparenza discutibile. Un paesaggio che si modifica di ora in ora per effetto di maree di ampiezza inusitata. Un ambiente apparentemente ostile per il pescatore che tuttavia, con un pò di spirito di adattamento, potrà catturare grandi spigole dalla bianca livrea di Alberto Martignani
Il candore a cui il titolo allude richiama sia le alte falesie che caratterizzano questo tratto di Normandia, seconde, per imponenza, forse solo a quelle, oltremanica, della celeberrima Dover, sia alla livrea delle spigole che si incontrano, adattatesi perfettamente al biancore della sabbia e della roccia calcarea su cui vivono e cacciano…
Ci troviamo lungo la Côte d’Albâtre (Costa d’Alabastro), una serie d’imponenti scogliere a picco sull’Atlantico che caratterizzano, per quasi 130 chilometri, il litorale tra Le Treport e Bruneval, in Alta Normandia. Una costa bellissima, scolpita nel corso dei millenni dal vento e dalle onde, con archi, guglie, precipizi vertiginosi, che viene interrotta qua e là da piccoli porti di pescatori (oggi, per la maggior parte , affollati centri balneari), le cui atmosfere e colori ispirarono la scuola impressionista francese di fine ‘800.
Il tratto che prenderemo in considerazione è tuttavia solo quello finale, che si snoda per circa sette chilometri dalla raffinata cittadina balneare di Etretat sino alla spiaggia di Bruneval, dove la falesia viene bruscamente interrotta dal ciclopico antemurale del terminale petrolifero di Le Havre, esso stesso, limitatamente al suo versante esterno, un interessante sito di pesca.
Ho frequentato la zona l’estate scorsa solo per alcuni giorni, sicuramente insufficienti a carpirne tutti i segreti, ma sufficieni a comprendere, in linea di massima, come immergersi e, soprattutto, come realizzare qualche bella cattura.
Un ambiente subacqueo particolarissimo Ho alle spalle diverse esperienze in Atlantico, ma questa zona mi ha inizialmente spiazzato a causa delle sue caratteristiche che la differenziano alquanto dalle altre, tanto da richiedere un “reset” completo di tutto quanto precedentemente acquisito e metabolizzato relativamente alla pesca in oceano.
Notevoli, ad esempio, le differenze rispetto alla pur vicino Bretagna, sia per quanto riguarda la natura dei fondali sia per quanto concerne la tipologia e il comportamento delle prede riscontrabili. Iniziamo con il dire che la laminaria, che la fa da padrona lungo la maggior parte dei litorali nord-atlantici e del Mare del Nord, qui è presente pochissimo. Rade le distese versi, prevalentemente a ridosso delle spiagge, mentre al di sotto della falesia l’alga pare abbia difficoltà ad attecchire. Si tratta infatti di una zona in ombra per molte ore al giorno, con un grado di torbidità elevato a causa della natura in gran parte sabbiosa del fondale. E dato che la laminaria, per crescere e prosperare, necessita di luce, si instaura probabilmente un circolo vizioso per cui la carenza di laminaria impedisce la stabilizzazione del fondo sabbioso; il conseguente sollevamento di sospensione prodotto da risacca e mareggiate riduce, a sua volta, al minimo la capacità di sviluppo della vegetazione per la limitata trasparenza dell’acqua e l’impossibilità della luce di filtrare. Risultato: il fondale è costituito in gran parte da una roccia calcarea piatta che dalla base della falesia prosegue per diverse centinaia di metri verso il largo, coperta da una vegetazione bassa e rada; il tutto alternato a zone di sabbia a grana grossa e a distese di ciottoli. Frequenti gli sbalzi di batimetrica causati da massoni irregolari, talora molto alti ed estesi, esito evidente della franata e dell’arretramento progressivo della falesia nel corso dei millenni.
La base di questi massi, individuata in planata, rappresenta il punto migliore per fermarsi all’aspetto. Non di rado si formano veri e propri canaloni, tra i quali scivolare sino a trovare il punto giusto per appostarsi. La torbidità, si diceva, è elevata, e basta che si alzi un po’ di onda per effetto dei venti occidentali per rendere tutta la zona impescabile (e se ve lo dice uno abituato all’Alto-Adriatico potete crederci!) Io, però, sono stato fortunato e nei sei giorni in cui mi sono trattenuto in zona, in uno solo ho dovuto rinunciare a scendere in acqua. Veniamo alle prede. Oltre agli immancabili grossi marvizzi, circolano cefali corpulenti e qualche branco di merluzzi gialli, quasi sempre di piccola taglia. Poi, ovviamente, ci sono “loro”, le incontrastate regine di questi fondali: le spigole, che presentano dimensioni mediamente interessanti. Assenti i saraghi che pure, nella vicina Bretagna, monopolizzano quasi ovunque i bassi fondali.
Del tutto casualmente, ho effettuato la prima uscita in prossimità del culmine di bassa marea e ho avuto, da subito, la percezione che si trattasse del momento migliore. Quasi sempre mi sono allargato a pescare tra i 150 e i 300 metri dalla costa, dove la batimetrica (con la marea vicino al minimo) risulta essere tra gli 8 e i 13 metri, che è più o meno quella dove ho effettuato tutte le catture.
Bisogna fare attenzione alle reti da posta, che sono numerose e coprono, con pochi intervalli, quasi tutto lo sviluppo della falesia. Fortunatamente sono ben segnalate da bandierine sufficientemente alte. Capitarvi in mezzo, con la torbidità che caratterizza queste acque, risulterebbe pericolosissimo. Ho sempre ritenuto opportuno fermarmi a pescare non meno di una cinquantina di metri oltre i segnali, verificando a ogni tuffo la mia posizione per evitare che gli inevitabili spostamenti con la corrente mi facessero avvicinare alla zona di pericolo. Boa sempre e comunque al seguito, sia perché il traffico nautico sottocosta, seppur non elevato, è tuttavia presente, sia perché, da queste parti, qualunque persona di mare vi veda scendere senza, vi apostroferà a male parole. I sub francesi, al proposito, utilizzano quasi tutti una voluminosa plancetta gonfiabile, quasi un canottino, sopra la quale fissano i fucili e la rete per gli astici (che da queste parti sono una preda abbastanza comune). E’ molto utile, adagiandovisi sopra, per prendere il mare (con la marea bassa) senza finire avviluppati, corpo, sagola e fucile, dalla fastidiosissima laminaria filamentosa i cui cespugli, in questa fase, galleggiano estesamente in superficie. Inoltre, la plancetta consente di pinneggiare più spediti, percorrendo con maggiore velocità i tratti di trasferimento. In effetti, in previsione di questa trasferta, me ne ero procurata una ma poi, dato l’enorme ingombro e la scarsa maneggevolezza, ho rinunciato a usarla ricorrendo a una normale boa a siluro.
Una norma di regolamento importante da ricordare è la seguente: dal 16 maggio 2016 è in vigore una normativa europea che consente la pesca sportiva di non più di una spigola al giorno sulle coste a Nord del 42esimo parallelo. Quindi, piaccia o non piaccia, catturata la prima spigola dovrete rivolgere l’attenzione ad altre specie, anche se io, catturato il primo esemplare, ho sempre preferito rientrare per evitare il “magone” di vedermi passare davanti al fucile un branzino magari più grande di quello che avevo in cintura. Ma veniamo alla cronaca delle uscite effettuate.
Una spiaggetta storica Ho scelto come base logistica la bella e mondana cittadina di Etretat, per la prima uscita, però, mi sono subito orientato sulla più defilata località di Bruneval, distante pochi chilometri e corrispondente all’estremità meridionale della falesia. Una stretta stradina consente di accedere a questa spiaggetta di ciottoli alla base della scogliera, con uno scivolo per la messa a mare di piccoli natanti. L’auto può essere lasciata nel poco capiente parcheggio alla sommità, oppure ai lati della stradina.
A destra, inizia l’imponente bastione della falesia. A sinistra, ma a diverse centinaia di metri di distanza, la lunghissima diga del terminale petrolifero di Le Havre. Sull’altura dietro e a sinistra rispetto alla spiaggia, una ripida scalinata consente di accedere al memoriale in cemento che ricorda una delle prime incursioni dei “commandos” britannici su queste coste, nel secondo conflitto mondiale. La vicenda risale al febbraio del 1942 allorchè un piccolo gruppo di incursori venne paracadutato nelle vicinanze per distruggere una stazione radar tedesca ed essere poi evacuato proprio dalla spiaggetta di Bruneval.
E’ il tardo pomeriggio. Sono appena arrivato e mi restano solo poche ore di luce per una fugace puntata esplorativa. Mi trovo in prossimità del culmine di bassa marea, una fase che, normalmente, non risulta favorevole nel sottocosta. Mi dirigo a destra, verso la base della falesia, cercando di dribblare (per quanto possibile) i lunghi cespugli flottanti di laminaria filamentosa
L’acqua è torbidissima (intravvedo a stento la punta del 94!) e, come previsto, in acqua bassa è il deserto assoluto. Decido allora di spostarmi verso il largo, scelta che si rileva corretta in quanto comincio a distinguere finalmente, nel torbido, la sagoma di qualche pesce. Dapprima alcuni grossi labridi, poi un cefalo enorme al quale avrei sparato volentieri se me ne avesse dato il tempo. Vedo anche alcuni merluzzi gialli sui quali indugio a lungo ma che decido infine di risparmiare per le modeste dimensioni. A un certo punto arriva anche un gruppo di spigole, tra le quali un paio di dimensioni apprezzabili. Scelgo tuttavia di aspettare, sperando nel passaggio del mostro, cosa che però non accade…
Per evitare alcune reti mi porto ancora più al largo. Il profondimetro segnala ora 13 metri (ragiono sul fatto che, in condizioni di alta marea, il fondale risulterebbe dai 4 ai 6 metri più profondo, e sarebbe decisamente più difficile da raggiungere con la muta pesante).
Al secondo o terzo tuffo sono appostato in una zona di ciottoli, con alcuni scogli sparsi, immerso in uno strato di densa sospensione che annulla quasi la visibilità. Intuisco transitare davanti al fucile un’ombra inconfondibile. Il tiro centra il bersaglio sulla piastra branchiale. La grossa spigola rimane nell’asta; l’afferro e la recupero nello stesso tuffo. Peserà almeno quattro chili. Mi colpisce la livrea, che è insolitamente chiara. Resterà la più grossa di quelle prese in zona.
Ho filmato tutta l’azione, ma una volta scaricata la ripresa resterò deluso nel vedere il tiro che parte verso un muro di grigio impenetrabile: https://www.youtube.com/watch?v=oPThYBFZSJc Il giorno dopo, in tarda mattinata, sono in acqua nello stesso punto. Sono curioso di vedere se l’alta marea stia favorendo la circolazione del pesce proprio sotto la falesia! Il tentativo si rivela, da subito, fallimentare: l’incremento di forza della risacca provocato dal salire della marea, ha annullato quasi completamente la visibilità, ma anche al largo la torbidità dell’acqua è aumentata tantissimo rispetto al giorno prima. Solo in una paio di circostanze intravvedo le sagome sfuggevoli di un paio di spigole, peraltro non grandi, che non faccio in tempo a mettere in mira. Anche il rientro mi crea discrete difficoltà in quanto si è alzata una corrente contraria piuttosto sostenuta. Per poterla risalire, devo dapprima guadagnare la base della falesia e poi procedere rasente a essa sfruttando la parziale copertura degli scogli e tirandomi avanti, nei punti critici, con la mano sinistra. Al termine avrò le gambe a pezzi.
Però non rinuncio, la sera, a tornare sul posto con la bassa marea. Le favorevoli impressioni ricavate il pomeriggio prima vengono confermate. Risalirò con una bella spigola sui due chili (la intravvedo solo per un istante, in mezzo a un gruppo di esemplari più piccoli, e sparo quasi alla disperata dopo averla persa di vista…) e con la fondata convinzione che, da queste parti, la fase di marea calante sia effettivamente il momento migliore per pescare.
Un ciclopico antemurale Il pomeriggio successivo entro in acqua con buon anticipo. Obiettivo del giorno è infatti il lungo antemurale del terminale petrolifero e… non sarà uno scherzo. Da Bruneval, infatti, raggiungere la prima curva della diga, dove reputo che il fondale possa essere interessante, mi richiederà non meno di 800 metri di percorso in superficie che, di buona lena, mi appresto a coprire appoggiandomi sopra la lunga boa a siluro.
Raggiunto l’obiettivo, inizio a pescare con la stessa tecnica dei giorni precedenti, adagiandomi alla base dei tetrapodi, possibilmente nei punti in cui, sul fondo, vi sia un po’ di roccia naturale. E attendendo all’aspetto. Purtroppo il mare sta montando e mi accorgo subito come la torbidità, alla base della diga, sia quasi impenetrabile. Nonostante sia passato dal 94 dei giorni precedenti a un più corto e maneggevole 79, pescarci è quasi impossibile. Tuttavia, in alcuni punti, utilizzando come sfondo qualcuna delle rocce biancastre tipiche di questo fondale, qualcosa si riesce a fare.
Una prima spigola di piccole dimensioni mi beffa schizzando via immediatamente. Una seconda, attorno al chilo, riesco invece a colpirla. Siamo già sui 10 metri e non sono neppure arrivato alla seconda curva a gomito dell’antemurale! Pescare in queste condizioni non è troppo divertente e siccome ho già totalizzato il branzino giornalmente consentito, mi appresto a rientrare.
Nella notte si scatenerà una forte burrasca e la mattina successiva, nonostante l’evidente scaduta, il colore grigiastro delle acque risulterà piuttosto eloquente. Niente pesca per oggi. Ne approfitterò per esplorare da terra il litorale, in particolare i deliziosi paesini di Fecamp e Yport e la bella spiaggia in ciottoli, dominata da un’impressionante falesia verticale, di Le Tilleul. Località che consentirebbero di scendere in mare.
In particolare, appare interessante la zona a destra del porto di Fecamp, dove una scaletta in cemento consente di accedere alla parte terminale dell’alto antemurale in tetrapodi, che prosegue direttamente nella falesia. Purtroppo, a causa dei pochi giorni a disposizione, non riuscirò a pescare in nessuno dei posti individuati.
Un paese, due falesie
Il paesino di Etretat presenta l’invidiabile prerogativa di trovarsi incastonato tra due falesie bellissime e…quasi uguali. Entrambe sono caratterizzate, infatti, da un arco naturale molto alto, che ha ispirato, nel corso dei secoli, decine di pittori famosi. In particolare, esistono due note tele di Monet che rappresentano sia l’arco situato a destra del paese, un po’ più piccolo, detto Falaise d’Amont, sia quello a sinistra, il più famoso, chiamato Falaise d’Aval. Quest’ultimo, tra l’altro, vede innalzarsi, a poche metri di distanza, un’arditissima guglia, a forma di artiglio, detta l’Aiguille. Potevo lasciarmi sfuggire due siti di simile bellezza per una pescata ?
Certamente no, anche perché ho sempre notato, nei giorni precedenti, come le due falesie non vengano risparmiate né dai professionisti con le loro reti, né dalle piccole barche dei cannisti che vi praticano sia la traina che il surf-casting. Segno evidente che un po’ di pesce deve girare
Andare con il fucile in un posto così mondano e in piena stagione turistica, impone, pur in assenza di specifici divieti, alcune precauzioni. Ovviamente, non potrò scendere in acqua, come ho fatto finora, nel tardo pomeriggio, con lungomare e spiaggia affollati da turisti e bagnanti. Sposterò l’orario d’immersione alla primissima alba, corrispondente, in questo periodo, alla fase finale di marea calante.
Il fatto di aver affittato un piccolo “studio” in un palazzo proprio sul lungomare mi facilita le operazioni. Posso infatti vestirmi in appartamento e scendere in strada già pronto! A questo punto, raggiunta la spiaggia di ciottoli, non resta che coprire, a piedi, i 200 metri circa che mancano all’inizio della zona di roccia e il gioco è fatto! Inizio in prossimità della Falaise d’Amont, allargandomi subito oltre i segnali delle reti da posta. L’oceano, nella luce diafana dell’alba, appare calmissimo, e la mareggiata di circa 36 ore prima sembra non aver lasciato grossi residui: c’è il torbido consueto di queste acque, gestibile in tutta tranquillità con un buon arbalete da 75.
La giornata non è fortunata: persa l’occasione su un paio di spigole da chilo, più che altro nel tentativo di verificare se una più grossa le seguisse, vengo infine “catturato” da una corrente che mi porta velocemente fuori zona, verso il centro del paese. Da queste parti le correnti sono quasi sempre impossibili da gestire e non resta altro da fare che impiegare tutte le energie disponibili per trarsi d’impaccio e uscirne.
Nel caso specifico, poi, in pochi minuti il flusso mi ha già portato sul fondale di ciottoli antistante il lungomare, assolutamente privo di interesse. Non resta altro da fare che uscire, tangenzialmente, dal flusso d’acqua in movimento e riguadagnare mestamente, la riva. Mi tolgo solo la piccola soddisfazione di farmi trasportare direttamente davanti all’appartamento, risparmiandomi la lunga camminata sui ciottoli della spiaggia. Non mi perdo d’ animo e la mattina successiva, più o meno alla stessa ora, ci riprovo. La giornata è umida e piovigginosa, ma il vento è debolissimo e la superficie dell’oceano appena increspata. Questa volta tento la sorte dalla parte opposta, nei pressi della bellissima Falaise d’Aval, la stessa che Guy De Maupassant, che soggiornò a lungo da queste parti, paragonò a una gigantesca proboscide di elefante calata in mare.
Una barchetta di surfcaster mi ha preceduto sulla zona che intendevo raggiungere, ma poco dopo si sposta e posso prenderne possesso. Mi trovo sempre a circa 200 metri di distanza dal fronte di marea, un po’ a sinistra del grande arco e alcune decine di metri al largo dalle immancabili reti. Il fondale è irregolare a causa della presenza di numerosi sassoni che interrompono la superficie piatta di sabbia e ciottoli. La roccia è coperta, qua e là, da un’alga bassa e verde, simile alla nostra lattuga di mare, mentre non vi è laminaria. Oserei dire che si tratta di un fondale più variegato e potenzialmente interessante rispetto alla zona di Bruneval. Peccato che non sembri girare nulla di interessante, tranne diversi grossi labridi atlantici, con alcuni esemplari veramente grossi. Buon segno! Significa che vi è comunque catena alimentare. Poi ci sono granchi e branchi di piccoli clupeiformi. Tutto cibo potenziale per le spigole.
Immerso in queste riflessioni, mi faccio quasi sorprendere dalla grossa ombra bianca che scapola la base di uno scoglio e mi arriva praticamente addosso. Ma è un attimo: il dito si contrae sul grilletto del 79 e… il bersaglio è veramente impossibile da mancare. Risalgo a riva mentre i due cannisti visti all’inizio stanno tirando in secca la loro imbarcazione. Hanno catturato anche loro una spigola. Scambiamo qualche parola e ci complimentiamo per le rispettive catture. Io rimiro la mia: un esemplare di circa tre chili, bianchissimo, come le falesie ritratte da Monet…
Consigli di viaggio
Come arrivare: siamo andati in automobile, da Bologna, entrando in Francia attraverso il traforo del Monte Bianco e viaggiando in autostrada sulla direttrice Lione, Avignone, Parigi, Le Havre. A Le Havre si esce dall’autostrada e si prosegue sulla normale viabilità in direzione Harfleur, Etretat, Fecamp. Il tragitto da effettuare, dal confine italiano sino a Etretat, è di circa 850 chilometri. Il pedaggio per l’attraversamento del traforo del Monte Bianco è di 44 euro, mentre l’ammontare complessivo dei pedaggi autostradali in territorio francese è di circa 70 euro. Come alternativa, soprattutto per chi voglia partire dal Centro o dal Sud Italia, è volare su Parigi e noleggiare lìi un’auto. Resteranno da percorrere poco più di 200 chilometri.
Dove soggiornare: ho scelto un piccolo “studio” ( un monolocale con bagno e cucina) nel centro di Etretat, rivelatosi comodissimo tanto per scendere in acqua direttamente dalla spiaggia quanto per raggiungere gli altri punti di pesca. L’offerta di alloggi a Etretat è molto varia e amplissima, trattandosi di una località rinomata e alla moda (c è persino un piccolo ma frequentato casinò). Si va dal soggiorno in hotel a quelli in case e appartamenti privati. Certo, i prezzi non sono esattamente “popolari”, specie in alta stagione. I parcheggi sono a pagamento, ma solo nelle ore diurne dalle 9 alle 19. Ce ne sono disponibili alcuni, più economici ma leggermente più lontani dal centro, che costano solo cinque euro per tutto il giorno. In alternativa, si può cercare una sistemazione in qualche alloggio privato nei dintorni della cittadina, ad esempio consultando il noto (in Francia) sito: https://www.gites-de-france.com/
Dove mangiare: ci troviamo nella patria del Camembert, del burro salato, del sidro e del Calvados. Tuttavia, mangiare veramente bene, in un paese affollato da locali “per turisti” come Etretat, non è facile, soprattutto se pretendiamo di farlo a prezzi ragionevoli. Inoltre, non sognatevi neppure di presentarvi ai tavoli dopo le 10 di sera: riceverete un cortese, ma fermo, diniego (lo stesso se vi presenterete con la pretesa che vi cucinino il pesce da voi pescato, con la differenza che il diniego sarà molto meno cortese). In caso di emergenza si può acquistare “al banco” una gustosa galette (crespella di grano saraceno) normanna al formaggio, uovo e prosciutto (ideale per il dopo pesca). Basta andare alla crêperie che si affaccia sulla piazzetta del paese e che rimane aperta sino a tardi.
Cosa vedere: da Etretat, sia a destra che a sinistra della spiaggia, inizia una serie di sentieri che si inerpicano verso l’alto e consentono lunghissime camminate alla sommità della falesia, da dove si ammirano paesaggi mozzafiato. Si può cominciare dalla parte destra del paese ove, sulla collinetta che lo sovrasta, si visita il suggestivo monumento a Nungesser e Coli, gli sfortunati aviatori francesi che, nel 1927, tentarono la traversata atlantica pochi giorni prima di Lindbergh, scomparendo nel tentativo. Il monumento è stato eretto nel punto in cui l’Oiseau blanc, il loro apparecchio, venne avvistato per l’ ultima volta. Per un’escursione un po’ più a lungo raggio ci si può recare a visitare Honfleur, splendida cittadina medioevale, un tempo porto commerciale e militare di notevole importanza, situata una quarantina di chilometri a sud. Per raggiungerla, si attraversa l’estuario della Senna sul famoso Pont de Normandie, eccezionale opera d’ingegneria completata nel 1995 (a tutt’oggi uno dei più lunghi ponti sospesi al mondo).