Di Gherardo Zei
Da anni si succedono stagioni “strane” ma mai come questa estate quando siamo arrivati al punto che in nessun luogo della penisola (e in nessuna giornata) ci sono state le caratteristiche classiche della bella stagione mediterranea.
L’anticiclone delle Azzorre non si è visto. Forse ha deciso di rimanere per sempre nelle Azzorre? Comunque, di qui non è passato. In sua assenza siamo rimasti del tutto privi del nostro classico, meraviglioso clima estivo fatto di giornate calde, soleggiata e purtuttavia non particolarmente afose ma, tutto al contrario, caratterizzate da un caldo asciutto e gradevole.
Sarò uno di quei vecchi che sproloquiano del passato, ma ricordo che il clima era del tutto differente. L’anticiclone delle Azzorre entrava tutte le estati e, casomai, si discuteva se era entrato presto (a giugno) o tardi (a luglio inoltrato). E quando poi (dopo la metà di agosto) l’anticlone perdeva forza e c’era il primo temporale estivo, eravamo lì a chiederci se sarebbe rientrato di nuovo per regalare una grande settembrata.
A volte l’estate finiva precocemente, mentre altre volte l’anticlone delle Azzorre rientrava e rimaneva addirittura fino a ottobre inoltrato (determinando le famose ottobrate romane e anche le grandi pescate autunnali con acqua calda e limpida).
Quest’anno, come dicevo, l’anticiclone delle Azzorre non lo abbiamo proprio visto. Al sud abbiamo avuto l’anticlone africano, che è ben altra cosa in quanto porta un caldo afoso, umido e sabbioso e rende le notti soffocanti e le giornate torride. Al nord le perturbazioni atlantiche sono entrate come hanno voluto e, a causa dei forti dislivelli di temperatura, hanno inondato il territorio di pioggia per tutta l’estate, sotto forma di “bombe d’acqua” e di “trombe d’aria”. Mentre al centro si sono alternate le due modalità: caldo torrido e bombe d’acqua.
Dal punto di vista della pesca subacquea l’estate è stata magra per tutti e, nel Lazio, il pesce si è talvolta concentrato in alcune zonette (per un giorno o due), oppure è entrato dappertutto ma solo per un paio d’ore. In pratica, beato chi si è trovato nel posto giusto al momento giusto.
L’episodio più rilevante dell’estate è stato quello di un equipaggio che si è trovato sul branco di dentici al momento giusto ed ha potuto catturare quattro esemplari grossi dallo stesso branco (un dentice per ogni componente a bordo). Ma per una giornata così ce ne sono state cento senza vedere una coda.
A terra, dove pesco io, vi è stata una piccola ma generalizzata entrata di orate nella seconda metà di agosto. Quasi ciascuno di noi ne ha catturata almeno una. Erano pesci tranquilli e meno difficili della media.
Poi, il tempo ha cominciato a “rompere” e infatti, lo scorso sette di settembre, dopo vari giorni di tramontana e di maestrale, ho avuto la sensazione della prima giornata veramente autunnale.
Orate
Stavo scorrendo all’aspetto un ciglio basso che notoriamente fa pesce e stavo giusto pensando all’entrata di orate. Quella che avevo catturato qualche giorno prima (in un altro posto) aveva la pancia piena di residui di riccio e riflettevo sul fatto che, nel posto dove ero, il “pascolo” era diverso con pochi ricci e molti frutti di mare. Alla fine di un lungo aspetto, reso difficoltoso dalla risacca, avevo visto solo saraghetti ed ero giunto alla conclusione che, considerata l’acqua e la stagione, avrei potuto catturare più probabilmente un serra che non un’orata.
Avevo appena terminato di formulare questa riflessione quando mi sono reso conto di essere vicino alla fine dell’apnea, e ho deciso di staccare dal fondo. Come faccio sempre mi sono, dapprima, sollevato soltanto di una trentina di centimetri per dare un “giro d’orizzonte” finale ed è stato in quel momento che ho visto la prima orata (un pesce superiore al chilo). Avendola vnotata nel momento in cui mi ero sollevato, anche l’orata mi ha sentito benissimo e ha scartato decisamente. Dannata sfortuna. Altri cinque secondi in più e sarebbe stata una cattura facile. Stranamente (trattandosi di un’orata) lo scarto non è stato “definitivo” e invece di fuggire come un flash l’animale ha accennato a girarsi come fosse un cefalo. Ho attribuito questo comportamento al fatto che fosse un pesce ingenuo di entrata e quindi, dopo aver controllato che da dietro non arrivassero altri pesci, ho attivato un tipico “piano di cattura” che si usa quando le prede si comportano in questo modo, schiacciandomi e arretrando con il corpo, mentre contemporaneamente allungavo il braccio con il fucile. Sembrava funzionare. Infatti l’orata ha smesso di allontanarsi e ha cominciato a riavvicinarsi leggermente girando sulla mia sinistra (ancora un paio di secondi e avrei potuto sparare). Ma in quel preciso momento, con la coda dell’occhio a destra, ho percepito l’ombra della seconda orata che si stava avvicinando.
A questo punto non potevo fare più niente. Se mi fossi mosso, o se avessi anche solo distolto lo sguardo dal primo pesce, avrei quasi certamente perduto il timing per sparare a entrambe. Mi mancavano pochi decimi di secondo per allineare la prima orata e sparare e quindi dovevo perseverare con quel piano. Malauguratamente, un centesimo di secondo prima di premere il grilletto, ho sentito il rumore della scodata e ho percepito che l’esemplare sulla mia destra partiva in fuga.
Nell’esatto istante in cui ho premuto il grilletto anche l’altra orata, spaventata dalla reazione della collega, ha scodato e ha mandato a vuoto la mia freccia. Avevo avuto tre occasioni di cattura in un unico tuffo e le avevo perdute per una catena di eventi sfavorevoli. In pratica, era stato come scegliere bendati la pallina nera in un vaso pieno di palline bianche.
Ero nel posto giusto al momento giusto. Se solo avessi prolungato l’aspetto per altri cinque secondi avrei catturato la prima orata. Se lo scatto della prima orata fosse stato definitivo (com’è quasi sempre) avrei sicuramente prolungato l’aspetto orientandomi maggiormente nella direzione da cui era arrivato il primo pesce e, quindi, avrei colpito facilmente d’incontro la seconda orata nel momento stesso in cui entrava in scena.
Se solo la seconda orata avesse ritardato la sua scodata definitiva di un decimo di secondo avrei comunque catturato la prima, che avevo rimesso faticosamente in mira. Tre occasioni perdute. Eppure non avevo commesso errori marchiani e ogni mia decisione era stata logica.
Ritardare la staccata iniziale sarebbe stata chiaroveggenza ma, comunque, l’avevo iniziata prudentemente con un piccolo movimento che, infatti, mi aveva consentito di vedere il pesce senza farlo fuggire subito. Prima di scegliere l’azione di cattura verso la prima orata avevo, comunque, controllato se ci fossero altri pesci dietro e comunque avevo cercato di dare un’interpretazione al comportamento esitante del pesce (ma sbagliando visto che ormai è chiaro che esitava perché sapeva che dietro c’era la compagna). In ogni caso, la mia errata interpretazione era purtuttavia ragionevole visto che c’erano in giro orate di entrata abbastanza ingenue. E infine non ho dubbi che una volta iniziata l’azione per sparare alla prima orata ogni successivo cambio di piano avrebbe avuto probabilità di successo ridotte al minimo. Spesso gli episodi contano.
Serra
Ho continuato a pensare all’orata per tutto il resto della pescata e, come spesso mi succede in casi del genere, ho perduto un po’ di concentrazione, sbagliando un sarago in fuga.
Dopo circa due ore sono ritornato sul “luogo del delitto”. E ho ricominciato a battere tutta la zona, palmo a palmo, all’agguato e all’aspetto. Il mio istinto mi faceva percepire in quella zonetta acqua leggermente più calda e più pulita e una mangianza più densa e attiva. Insistevo aspettando l’orata, o nemmeno io so che cosa stavo aspettando, ma c’era qualcosa nell’aria o, per meglio dire, nell’acqua, che mi faceva pensare a qualche bel pesce. Anche se poi alla fine quando la preda arriva ci sorprende sempre e spesso ci lascia di stucco, e così è stato anche in questo caso.
Traguardavo in basso verso la mangianza e non c’era tanta visibilità, ragion per cui aguzzavo la vista e vedevo solo saraghetti, sospensione e nulla di nulla. Al momento in cui ho alzato gli occhi il grosso serra era lì, vicinissimo, praticamente davanti e sopra di me: transitando da sinistra a destra, mi aveva quasi superato. Si richiedeva un brandeggio tanto veloce che con qualsiasi altro pesce le possibilità di cattura sarebbero state ridotte al minimo, perché l’onda di pressione prodotta dal movimento dell’arma avrebbe indotto il pesce a una scodata immediata e definitiva. Invece, con un serra avevo probabilità altissime di concludere positivamente l’azione, perché si tratta di un pesce poco sensibile al brandeggio.
Ma ero rimasto molto sorpreso e, come dicevo, ero anche in deficit di concentrazione; quindi ho effettuato un movimento rapido (ma quasi timido) eccedendo nel lavoro di polso (per la gran paura che avevo di provocare un’onda di pressione), poi ho sparato praticamente senza allineare, di fretta e anche senza “cervello”.
Credo sia stato uno dei peggiori tiri della mia vita, perché colpire così tanto basso un pesce tanto grande e tanto vicino è proprio da principiante. Ma tant’è. E nemmeno si può dire che la fase di recupero sia stata impeccabile visto che ho forzato anche troppo e, alla fine, per poco non lo strappavo per davvero; comunque, essendo in sagola, era in ogni caso un pesce ormai preso anche se colpito tanto basso.
I primi serra sono arrivati proprio vicini a terra in pochissimi metri d’acqua. E’ iniziato l’autunno.
Gherardo Zei