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I periodi riproduttivi
La comprensione di un sistema complesso è molto di più della cognizione delle parti separate di cui è composto. Infatti lo studio (seppure dettagliato) dei singoli elementi conduce soltanto a quella che viene chiamata comunemente erudizione ed equivale all’apprendimento mnemonico di un dizionario o di un’enciclopedia, mentre la profonda conoscenza significa consapevolezza e padronanza del sistema nel suo divenire dinamico e non semplice nozione delle sue parti. Michelangelo diceva che la scultura era già nel blocco di marmo (e nella mente dello scultore) e che realizzarla significava solo liberare la pietra dal superfluo. Un concetto simile nella letteratura è quello per il quale l’autore deve studiare la grammatica, la sintassi, l’analisi logica e deve leggere e approfondire tutti i classici. Ma alla fine, prima di iniziare a lavorare, lo scrittore deve “dimenticare” tutto e scrivere con l’ingenuità di un bambino appena nato, lasciando che le parole scritte escano spontaneamente dalla punta delle sue dita.
Questi concetti che valgono per le arti sono pienamente applicabili anche alla conoscenza del mare, il quale costituisce un sistema forse più articolato di ogni altro. La numerosità e la complessità dei fattori fisici e biologici che concorrono a comporre il “sistema mare” non ha eguali e solo la più grande umiltà, insieme al più grande amore e alla più grande dedizione, non senza un pizzico di talento, possono portare ad una conoscenza che possa essere chiamata cultura, nella quale la vita del mondo sottomarino venga interpretata nella sua complessità e nel suo divenire.
Talvolta il biologo marino, che sciorina tutti i suoi nomi in greco e latino e si sofferma su dettagli minimi della vita di creature microscopiche, sembra, agli occhi del pescatore subacqueo, un erudito ignorante, visto che – sovente – mostra di ignorare completamente alcune delle più semplici e note dinamiche della vita delle specie più comuni del litorale di riferimento. In modo assolutamente speculare il pescatore subacqueo appare, talvolta, agli occhi del biologo come un praticone senza erudizione a causa della sua mancanza di cognizione dei dettagli della classificazione degli animali marini e della vita delle specie che non sono d’interesse venatorio.
Solo una collaborazione che mettesse da parte queste reciproche diffidenze potrebbe dare vita ad una generazione etologi/biologi/apneisti profondi conoscitori del “sistema mare”, ma non è facile arrivare ad avviarla. Oggi mi cimento nel trattare, dal punto di vista del semplice pescatore (quale io sono), uno degli argomenti più complessi, più controversi e difficili da interpretare tra quelli che impattano la vita dei pesci: quello della riproduzione di alcune delle principali specie d’interesse venatorio per i pescatori in apnea.
I vecchi tempi
Ai vecchi tempi i pescatori erano molto meno “etologi” di quelli del giorno d’oggi. In effetti bisogna riconoscere che – da sempre – la mentalità del pescatore è essenzialmente quella di catturare il pesce e più il pesce è facile da prendere e meno il pescatore è indotto a migliorare e ad affinare la propria conoscenza del continente sommerso. I pescatori subacquei del Mediterraneo del nord sono forse i migliori del mondo proprio in quanto si trovano a cimentarsi in uno dei mari più poveri di pesce del pianeta. Naturalmente questo non toglie nulla all’amore sincero che tutti i pescatori subacquei hanno per il mare. Diciamo che è un po’ come per l’amore tra uomo e donna, nel senso che gli uomini brutti ne imparano una più del diavolo per farsi apprezzare mentre gli uomini belli fanno molta meno fatica, ma questo non significa che questi ultimi non amino le donne allo stesso modo dei brutti. Lo stesso vale per noi pescatori subacquei mediterranei del nord. Pur amando il mare come tutti gli altri pescatori subacquei del mondo, noi abbiamo dovuto imparare a conoscerlo meglio per poter catturare qualche pesce in un litorale molto povero di prede.
Nei ruggenti anni cinquanta e sessanta del secolo scorso la situazione non era questa di oggi e mi ricordo che il mio maestro Willy mi raccontava di come, all’Isola del Giglio negli anni cinquanta, ci fossero dentici nell’ordine di tre chili che lo puntavano in superficie e si fermavano davanti alla sua maschera per cercare di capire che razza di pesce fosse. Quando conobbi Willy, nei primi anni settanta, lui diceva che aveva smesso di pescare perché non c’era più pesce (credo che questo faccia capire tutto). In seguito quelli che non hanno appeso il fucile al chiodo hanno imparato ogni genere di trucchi e di finezze e, sempre più, hanno cercato di prevedere le “accostate” a terra delle varie specie in corrispondenza dei periodi riproduttivi. Infatti negli anni d’oro c’era talmente tanto pesce stanziale su batimetriche abbordabili che il problema non si poneva, mentre nei decenni successivi è diventato importante riuscire a prevedere quando e dove le diverse specie sarebbero arrivate. Per alcuni decenni le regole delle “accostate” riproduttive sono rimaste abbastanza stabili e le entrate sono state ragionevolmente costanti nei tempi, nei luoghi e nelle quantità. Ma, a partire dalla metà degli anni duemila, si è notata, sempre di più, una discontinuità nei tempi dei cicli riproduttivi e nei conseguenti spostamenti dei pesci, oltre ad una diminuzione drammatica della consistenza numerica delle principali specie. Intorno al 2003 ci siamo accorti che i vecchi tempi erano definitivamente finiti e oggi cercheremo di ragionare insieme per capirne, almeno in parte, le cause.
Una visione generale
Allo stato attuale delle conoscenze avere una visione generale del problema significa, innanzi tutto, comprendere che ci troviamo in una situazione di grande incertezza. Del resto la questione dei cicli riproduttivi non era mai stata interamente sviscerata anche prima che i grandissimi cambiamenti indotti dalla pesca industriale con il cianciolo rendessero la situazione ancora meno chiara di quanto non sia mai stata. Mi ricordo che, ad un congresso di Rieti di oltre dieci anni, fa ho assistito personalmente ad una discussione pubblica tra alcuni biologi marini ed esponenti dei vertici federali da una parte ed un famosissimo pescatore subacqueo dall’altra, in cui si discettava del fatto che da quest’ultimo fossero state ripetutamente catturate grosse cernie piene di uova che, secondo la dottrina ufficiale sull’ermafroditismo di quel serranide, non avrebbero dovuto esistere. Sembrava di assistere al dibattito tra Galileo e le gerarchie della Chiesa Cattolica. Era chiarissimo a tutti i presenti che il pescatore aveva ragione, in quanto si limitava a riferire fatti di cui aveva una cognizione certa e diretta; fatti sui quali, d’altronde, non avrebbe avuto alcun interesse a mentire o a travisare. Mentre dall’altra parte del tavolo c’erano delle persone che avversavano quanto gli veniva riferito senza avere alcun elemento per farlo se non la volontà apodittica di opporsi alla perdita di prestigio che temevano gli derivasse dal dover accettare di ricevere pubblicamente informazioni da parte di un semplice pescatore subacqueo in ordine ad una materia per la quale avevano incarichi istituzionali retribuiti.
Sfogliando libri e facendo ricerche nelle varie enciclopedie presenti su internet si trovano informazioni riguardanti i periodi riproduttivi dei pesci che spesso sono molto diverse tra di loro e da testo a testo e solo parzialmente coincidenti con quanto constatiamo andando per mare tutte le settimane. E se questo era già vero prima degli ultimi forti mutamenti che si sono verificati nel corso degli ultimi due o tre lustri, adesso è diventato assolutamente verissimo. Capita, infatti ai pescatori subacquei, di anno in anno sempre di più, di trovare carichi di uova e di latte pesci che non dovrebbero essere nel loro periodo riproduttivo, ovvero di trovare pesci di una stessa specie che prolungano o riavviano il proprio periodo riproduttivo più volte durante l’anno.
Il biologo di turno quando gli si fanno rilevare queste contraddizioni a volte storce la bocca facendo capire che dubita della nostra parola e a volte butta la palla in tribuna dicendo che dipende dalle caratteristiche delle diverse località e anche dall’andamento della singola stagione (condizioni climatiche, fisiche e biologiche che stanno cambiando con i mutamenti climatici e con il crescente inquinamento delle acque) e se lo mettiamo proprio alle strette allora è disposto ad ammettere che ci sono dei anche cambiamenti in atto determinati dall’opera dell’uomo con i moderni sistemi di prelievo (leggi soprattutto ciancioli e anche strascicanti). Stupisce però che siamo, quasi sempre, noi semplici pescatori subacquei a prendere l’iniziativa in questo genere di preoccupate discussioni mentre immagineremmo che dovrebbero essere coloro che insegnano nelle facoltà di biologia marina a fare pressioni sul Ministero dell’Ambiente per sottolineare le distruzioni e le alterazioni causate dall’inquinamento, dagli strascicanti e dai ciancioli. Mentre mi permetto di dire che mi sembra che una delle principali attività dei Biologi Marini accademici sia quella di offrire consulenze ai parchi per avallare regolamenti grotteschi in cui è consentita addirittura la pesca professionale ed è vietata solo quella subacquea.
Quindi avere una visione complessiva del problema significa accettare il fatto che, in generale, i periodi riproduttivi sono sempre stati in parte incerti e che – oggi come oggi – si avviano ad una fase di ulteriori cambiamenti e incertezze di cui (sia pure da semplici pescatori quali siamo) proveremo ad indagare le cause
I cambiamenti in atto
L’influenza del pescatore subacqueo sui cambiamenti (molto preoccupanti) nei cicli di riproduzione praticamente non esiste e se esiste è molto vicina allo zero e di questo posso esporre una quantità di prove certe.
La prima prova di quanto dico è costituita, nel nostro mare del Lazio nord, dalla situazione dei polpi. Il nostro litorale di coralligeno costituisce un areale ideale per i polpi in quanto caratterizzato da un grotto alto e spaccato che si estende per miglia verso il largo e – infatti – la popolazione dei polpi è sempre stata abbondante e di eccezionali dimensioni. Il polpo per sua natura è (paradossalmente) la preda più facile per la pesca subacquea e la più difficile per la pesca industriale. Infatti si tratta di un animale molto forte e intelligente che non cade vittima delle reti da posta in quanto è in grado di romperle e liberarsi; raramente cade vittima degli strascicanti in quanto vive, preferibilmente, in zone rocciose e si rifugia in tane che non possono essere violate dalle reti a strascico. Ovviamente il polpo non può essere vittima di reti a circuizione come ciancioli e simili. Uno dei pochi modi in cui il polpo può essere prelevato massivamente in modo professionale è con quei particolarissimi palamiti fatti di giare (contenitori) che vengono stesi e lasciati per la notte, nel corso della quale i polpi trovano rifugio nelle tane costituite dalle giare e vengono poi prelevati la mattina successiva al momento del recupero del palamito. In questo modo (mi riferiscono gli amici del posto) è stata sterminata la popolazione dei polpi nel Golfo di Follonica, dove, oggi come oggi, trovare un polpo di un chilo è un fatto eccezionale. Ma quello che ha funzionato nel particolarissimo fondale di Follonica, composto di radice di posidonia morta, non può funzionare affatto sul grotto alto del Lazio nord. Dalle nostre parti, infatti, i polpi trovano abbondate tana negli infiniti e profondi spacchi del grotto stesso e non avrebbero nessuna ragione di andare a rifugiarsi in strane giare calate dall’alto. Pertanto la pesca industriale fatica a sterminare i polpi e i professionisti s’ingegnano con le polpare a mano dalla barca quando è stagione, ovvero con la fiocina lunga dalla barca a remi nel poco fondo esattamente come facevano cento anni fa. Per contro il polpo è particolarmente vulnerabile nei confronti del pescatore subacqueo e, nei periodi in cui si accostano i giganteschi esemplari di quattro o cinque chili che vivono nel Lazio nord, ogni anno ci sono sempre più persone che si sono attrezzate per operare una pesca subacquea (anche ampiamente illegale al fine di vendere il pesce) finalizzata solo a questa preda. Ribadito che coloro che catturano il pesce come pescatori sportivi per poi venderlo fanno una cosa illegale, devo tuttavia registrare che, nonostante questa crescente pressione, il polpo è di gran lunga la preda che ha subito meno modifiche dei cicli riproduttivi di entrata a terra ed ha sofferto la flessione numerica meno accentuata tra tutte quelle del bassofondo, dimostrando così, una volta di più, che le diminuzioni degli stock ittici sono causate dalla pesca industriale e non certo da quella sportiva e in particolare subacquea (fosse pure quella illegale e deprecabile dei bracconieri). Il caso del polpo è lampante: facilissimo da catturare per i subacquei sportivi e difficile per i professionisti e gli sportivi di superficie è ancora la specie più in salute di tutto il nostro mare del Lazio nord. Di chi è allora la colpa dei danni al mare?
Se poi le istituzioni preposte volessero far finire per davvero, una volta per tutte, questa pratica illegale della vendita del pescato da parte di una minoranza di pescatori subacquei, potrebbero farlo con la massima facilità. In tutti i litorali, infatti, sappiamo tutti benissimo chi vende il pesce e soprattutto chi lo compra (parliamo di un ristretto numero di pescherie, di ristoranti e alberghi) e gli esponenti delle istituzioni preposte vivono con noi e insieme a noi lungo i nostri stessi litorali e molti di loro sono anche pescatori e, quindi, conoscono perfettamente le stesse cose che sanno tutti i pescatori subacquei di tutti i litorali. Basterebbe, pertanto, che questi esponenti delle istituzioni disponessero qualche accertamento (e i buchi delle fiocine e delle taitiane sulle prede si vedono benissimo) sul pesce che viene commercializzato in quelle pescherie e in quei ristoranti per eliminare il fenomeno alla fonte. Un paio di multe date al momento giusto e questi esercizi non comprerebbero più il pesce dai pescatori subacquei/bracconieri e (conseguentemente) nessuno che pesca con il fucile potrebbe più venderlo. E’ tanto difficile? A me sembra così semplice che se questo non viene fatto evidentemente ci sarà qualche ragione che noi non conosciamo e che aspettiamo che qualcuno ci spieghi.
L’unica influenza dei pescatori in apnea consiste nel catturare qualche singola spigola con le uova (e quando succede ci facciamo anche mille scrupoli), fermo restando che i montoni delle spigole sono piccoli e sparsi e quindi si autoproteggono. Può capitare di catturare qualche cefalone con le uova durante le entrate riproduttive dei muggini e, occasionalmente, qualche altro pesce con le uova. Quando esistevano ancora i grandi montoni (prima che fossero sterminati dalle cianciole) ogni tanto qualche equipaggio di pescatori s’imbatteva in qualche montone importante di orate, di tanute, di ricciole o di dentici. Ma per i pescatori in apnea anche allora, erano episodi rari e poi bisogna sottolineare che tutto si esauriva in una “grande pescata” che consisteva in una decina di esemplari al massimo la cui cattura sarebbe rimasta – tra l’altro – come una storia leggendaria per generazioni. Come paragonare queste catture modeste, occasionali e veniali con le grandi stragi dei ciancioli che danno luogo (tanto per fare un esempio) alla produzione industriale di bottarga di tonno e di cefalo (prodotto diffusissimo che possiamo comprare in tutte le drogherie di un certo livello), segno inequivocabile dello sterminio industriale d’intere popolazioni di animali assommate in fase di riproduzione?
L’influenza dei cambiamenti chimici, climatici e della pesca professionale
Questo è il vero nodo che “arriva al pettine”. I cambiamenti biochimici dell’acqua, i mutamenti climatici e la pesca professionale sono fattori devastanti. Il primo fattore è una “variabile impazzita” che nessuno sta monitorando seriamente e che potrebbe portare ad una perdita di controllo della situazione da un momento all’altro. Infatti influire sull’ambiente naturale come stiamo facendo noi, senza un minimo di raziocinio e con la massima leggerezza, equivale a guidare con una Porsche a duecento chilometri orari su una strada di montagna di notte a fari spenti. Potrebbe anche andarci bene ma sarebbe solo fortuna. L’atmosfera si sta riscaldando (e sta anche cambiando composizione chimica per l’aumento di anidride carbonica), i mari si stanno scaldando (vedi l’aumento degli “ospiti caldi” come serra, barracuda ma anche semplicemente donzelle pavonine). Nell’ambiente immettiamo ogni genere di sostanza in quantità incontrollate e anche nuovi organismi (OGM) che non esistevano in natura. In singole zone di mare immettiamo ogni sorta di sostanze chimiche o anche differenti concentrazioni di sostanze naturali (come accade con le acque risultanti dagli impianti di depurazione). Quali le conseguenze di tutto ciò sugli organismi (di flora, fauna microscopica e pesci) che costituiscono la base della catena alimentare? Le conseguenze sono sconosciute e praticamente non indagate da nessuno. Forse sono io che non ho i contatti giusti, ma praticamente sento solo i pescatori subacquei che mi parlano con ansia della situazione e dei cambiamenti preoccupanti che vedono determinarsi, quasi di mese in mese, nel mare davanti a casa. I pescatori subacquei stanno in ansia perché le praterie di posidonia muoiono, perché il grotto smette di crescere e cambia colore, perché le specie più comuni come cefali e saraghi crollano, mentre sembra che al resto del mondo e alle istituzioni non gliene freghi proprio niente. Quando in televisione guardo qualche trasmissione naturalistica sento sempre gli ospiti molto prestigiosi che parlano di qualche “importante” campagna per salvare i delfini nell’Oceano Pacifico, per difendere le balene da quei cattivoni dei giapponesi, per difendere gli squali da chi ama la zuppa di pinne di pescecane ovvero per salvare le foche dei mari polari da quei terribili mostri che indossano le pellicce. Parlano di animali posti tutti al vertice delle rispettive catene alimentari e di problemi che si manifestano dall’altra parte del pianeta. Mentre, contemporaneamente, nel mare sotto casa nostra, viene messa in forse addirittura l’esistenza dei microorganismi che costituiscono la base stessa della vita (come il fitoplancton e lo zooplancton che generano il grotto oppure la base della radice di posidonia) dei nostri mari: Tirreno, Adriatico e Ionio. In questi nostri mari vengono distrutte le specie che costituiscono il fondamento della vita e nessuna autorità se ne interessa nella sostanza e anzi le attività più distruttive (come lo strascico e il cianciolo) vengono consentite, autorizzate e legalmente effettuate da professionisti. E non c’è nessuna trasmissione televisiva che abbia il coraggio di fare una seria inchiesta indipendente contro i ciancioli, gli strascicanti e le migliaia di chilometri di barracuda di nylon. Molto, molto più comodo prendersela con qualche tribù nordica che vive uccidendo qualche foca.
Cianciolo e cambiamenti dei periodi riproduttivi
La pesca con il cianciolo esisteva già da molto tempo, ma è soltanto dai primi anni duemila che si sono diffusi i “sonar militari a rilevamento orizzontale”, strumenti in grado di rilevare gli ammassamenti di pesce in fase di riproduzione, esplorando il fondale in orizzontale anche a notevole distanza dalla paranza da pesca. Questo fattore (di cui in televisione si guardano bene dal parlare, quando si dilettano a gettare la croce addosso ai giapponesi perché catturano qualche balena) ha determinato un cambiamento epocale perché, prima dell’avvento dei sonar militari a rilevamento orizzontale, la barca da pesca per trovare un “montone” doveva capitarci proprio sopra ed era un fatto molto più raro e casuale. Non a caso proprio nel 2004 l’intera popolazione delle orate del Lazio nord è stata quasi completamente sterminata in un’unica calata da sette tonnellate di orate che ha completamente annientato il “montone madre” del nostro litorale.
Non ho avuto il piacere di ascoltare niente su questo argomento nelle tante trasmissioni televisive sul mare con tanti illustri ospiti professori di biologia marina e responsabili del ministero dell’ambiente, niente di niente. Ma noi pescatori subacquei siamo preoccupati e pensiamo che questa sia stata una svolta che ha dato la mazzata finale ai nostri stock ittici e che sta alterando in modo decisivo i cicli riproduttivi di una quantità di specie fondamentali (come orate, ricciole, saraghi, dentici e perfino cefali). Dai primi anni duemila ad oggi è diventato sempre più frequente trovare pesci di queste specie con le uova o il latte lontano dai periodi che sono (o dovrebbero essere) caratteristici della singola specie. La spiegazione potrebbe essere semplice e noi crediamo che sia quella vera. Lo sterminio sistematico dei montoni ha impedito alla maggior parte della popolazione che aveva dei cicli normali di completare la propria riproduzione distruggendola definitivamente e annientando il suo patrimonio genetico. La sopravvivenza della specie è stata quindi (per ora) garantita proprio dalla popolazione minoritaria di quegli esemplari che avevano già sviluppato delle caratteristiche mutanti in ordine ai periodi e alle modalità riproduttive. Per esempio parliamo di orate che si riproducono in settembre o gennaio (anziché in novembre) e che operano i riti dell’accoppiamento riunendosi in montoni molto più piccoli anziché nei grandi e classici montoni novembrini. Quali le conseguenze di questo? Innanzi tutto un crollo degli stock delle popolazioni selvagge di questi pesci, secondariamente lo sviluppo e la sopravvivenza di una popolazione diversa da quella che la natura aveva selezionato e, infine, l’alterazione di equilibri di periodi riproduttivi che erano stati definiti dai cicli naturali in milioni di anni di evoluzione e che, oggi, sono stati completamente sconvolti nel breve volgere di dieci anni dalla stupidità dell’uomo, che si preoccupa di salvare quel povero delfino del Mar dei Sargassi ma che se ne frega di quello che avviene nel mare a un chilometro da casa sua. Unici innocenti i pescatori subacquei naturalmente. Innocenti, incompresi e ingiustamente accusati, come sempre.
La spigola ieri e oggi
I periodi riproduttivi della spigola sono comunque rimasti tra i più stabili in quanto questo pesce non può proprio riprodursi al di sopra di una certa temperatura. Pertanto, anche in considerazione del riscaldamento in atto dei mari, il periodo riproduttivo della spigola rimane inalterato e confinato nei mesi invernali tra la fine di dicembre e l’inizio di marzo. In Adriatico, in realtà, tale periodo risulta anticipato a novembre/dicembre perché, nella parte centrale dell’inverno, in quel mare molto basso la temperatura scende addirittura sotto gli undici gradi e le spigole scompaiono dal sottocosta e affondano, mentre tutta la vita sottomarina rallenta molto il suo ritmo a causa della temperatura dell’acqua eccessivamente rigida. Comunque, anche nei periodi più freddi, in quel mare conoscendo i posti giusti, si possono trovare spigoloni giganteschi pieni di uova. In tutti gli altri mari della penisola le spigole si assommano in piccoli montoni formati da una grossa femmina e un certo numero di maschi, seguendo i ritmi della temperatura nelle diverse località.
Il sarago ieri e oggi
Ancora negli anni ottanta e novanta i saraghi si assommavano verso terra per la riproduzione tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate e poi, di nuovo, nel mese di febbraio. Oggi queste entrate periodiche non esistono praticamente più e il sarago, che era un pesce di tana semistanziale, è diventato quasi un pelagico. Ma la cosa più impressionante è che i saraghi si trovano con le uova in quasi tutti i mesi dell’anno. Non ho tenuto un diario preciso, e potrebbe esserci qualche mese in cui non mi è capitato di trovare saraghi con le uova, ma mi sembra di ricordare di avere trovato saraghi in riproduzione quasi in tutti i mesi dell’anno.
L’orata ieri e oggi
Io mi ricordo che le orate si riproducevano, precise come orologi, nel mese di novembre ed entravano a terra anche in primavera. Non sempre si catturavano ma almeno c’era sicuramente il piacere di vederle, con quasi matematica certezza, quando facevano le loro entrate periodiche. Dai primi anni duemila, con l’avvento dei nuovi ciancioli ipermoderni, l’orologio biologico delle orate si è sconvolto completamente. La mia esperienza personale è che ne ho catturate molte di meno, le ho prese in modo più casuale in diversi mesi dell’anno e le ho trovate sempre più spesso con le uova anche in periodi differenti da quelli normali di riproduzione. Per contro in molte zone d’Italia si sono disperse in mare le orata di allevamento (e anche le spigole per la verità) dando luogo in diverse zone a gruppi di esemplari casualmente più numerosi e con abitudini di vita alimentari e riproduttive completamente eterodosse.
Il cefalo ieri e oggi
La diminuzione dei cefali è stata drammatica e l’alterazione dei loro cicli riproduttivi molto preoccupante. Fino ai primi anni duemila i cefali entravano molte volte durante l’anno. Entravano in primavera e il loro arrivo era preannunciato dai branchi compatti di Calamita che si muovevano con movimenti sincronizzati. Entravano alla fine di settembre in grande numero e con branchi di esemplari di tutte le varietà che compongono la specie e, nel corso dei mesi autunnali, erano quasi infestanti. Entravano di nuovo a febbraio con gli esemplari più corpulenti. Oggi purtroppo tutto è cambiato. Ad ottobre entrano quasi soltanto i dorini (gaggia d’oro), che sono quelli che hanno conservato ancora un chiaro periodo di riproduzione, collocato verso la fine di ottobre. Ma non sono più i grandi branchi di un tempo, ma solo pochi e radi esemplari di dorini in riproduzione; mentre sempre in ottobre possono capitare solo incontri occasionali con altri tipi di cefali. I comuni cefali cerini, invece, si riproducono ormai esclusivamente in febbraio, ma per incontrarli bisogna conoscere bene i posti altrimenti non si vedono nemmeno in febbraio. Se consideriamo che prima i cefali nel litorale del Lazio nord erano presenti in branchi sterminati per quasi tutto l’anno (con l’esclusione forse dei soli mesi di gennaio e agosto) bisogna ammettere che la pesca industriale con le reti a circuizione nei periodi riproduttivi ne ha fatti un bel po’ di danni.
Il serra e il barracuda ieri e oggi
Il barracuda è pieno di uova tra aprile e maggio e non ho notato particolari modifiche di questo ciclo riproduttivo. In inverno dalle nostre parti è raro vedere un barracuda, poi con i primi caldi di primavera si avvicinano a terra e, dopo la riproduzione in cui stanno concentrati in zone ristrette, i barracuda si spargono lungo tutto il litorale e rimangono vicino a terra per tutta l’estate per poi andarsene di nuovo con il freddo. Stesso discorso per i serra, che però hanno il periodo riproduttivo in cui si avvicinano di più alla riva spostato intorno ai mesi di settembre o ottobre. Fin da maggio tuttavia è possibile incontrarli nel sottocosta, mentre a settembre ed ottobre, in piena frenesia, si portano in pochissima acqua con le femmine di circa quattro o cinque chili che sono seguite da codazzi di maschi che vanno da un chilo e mezzo a due chili e mezzo. Restano poi a terra fino a novembre per scomparire definitivamente con i primi freddi. L’anno scorso per la prima volta ho catturato un serra a dicembre inoltrato. Era una grossa femmina magra e famelica che si era avvicinata a mangiare a terra nella scaduta di una mareggiata.
La corvina e la cernia ieri e oggi
Per quanto riguarda la corvina e la cernia, che pure hanno il loro periodo riproduttivo a partire alla primavera e nel corso dell’estate, molti mi riferiscono di presenza anomala di uova all’interno di esemplari catturati in periodi diversi dell’anno (o nel caso delle cernie all’interno di esemplari che per le dimensioni avrebbero dovuto essere maschi). Io personalmente non ho riscontrato anomalie ma si tratta di specie di pesci che non catturo abbastanza frequentemente per poter fare osservazioni che abbiano un minimo di valore statistico. Mi fido ciecamente dei rilevamenti fatti dagli altri colleghi pescatori.
La ricciola e la leccia ieri e oggi
Parlando di questi grandi pelagici entrano in gioco anche altri fattori di natura tutt’affatto diversa. Infatti si tratta di pelagici e cioè di animali che compiono grandi migrazioni nel corso dell’anno, spostandosi in ogni direzione per tutto il mediterraneo e, pertanto, la loro presenza o assenza è influenzata anche da molti altri fattori relativi alla situazione meteo marina ovvero antropica di altre zone lontane da noi (come per esempio il nord Africa). Pare (come peraltro logico) che i branchi dei grandi pelagici trascorrano l’inverno nelle acque più calde delle coste africane per poi, all’inizio dell’estate e del loro periodo riproduttivo, risalire il mediterraneo popolando le nostre coste a partire dalla Sicilia, dalla Calabria e dalla Puglia, e infine risalire lungo la penisola e trovarsi, nell’ultima parte dell’estate, anche nelle zone più a nord. Chiaro quindi che un inverno con temperature più fredde in nord Africa, ovvero con temperature più miti nel sud Italia può modificare sensibilmente questi cicli e determinare sorprendenti presenze o assenze di questi pesci. Per quanto riguarda le ricciole in particolare esse sono tra le vittime più frequenti della devastazione del cianciolo (come più vedere anche in numerosi filmati presenti su you tube) e non è difficile immaginare come questo possa determinare consistenti e definitive modificazioni nella presenza di questa specie nei nostri mari e nelle sue abitudini di vita. Sterminare un grande branco di decine di tonnellate di ricciole accostatosi alla nostra costa per la riproduzione significa cancellare dalla faccia della terra quel ramo genetico della specie che aveva maturato tale abitudine. Secondo il principio della selezione naturale quel gruppo si è rivelato inadatto alla sopravvivenza (ma non per colpa sua bensì per colpa nostra e delle nostre assurde leggi italiane) e quindi viene semplicemente eliminato dal mondo. Al suo posto sopravviverà e si diffonderà in tutto il mediterraneo un ceppo genetico diverso che aveva differenti abitudini. Sopravvivranno quindi pesci con diverse tendenze riproduttive come, ad esempio, quella di riunirsi per la riproduzione in periodi eterodossi e magari in piccoli gruppi, ovvero semplicemente coloro che si terranno (in modo molto salutare) lontano dalle coste italiane che sono governate da leggi di questo genere.
Il dentice ieri e oggi
Per quanto riguarda il dentice si ritiene che la riproduzione avvenga a metà primavera, più o meno nel periodo in cui questo pesce risale dalle profondità, in cui ha trascorso il periodo invernale, per popolare i suoi areali di caccia prediletti. Tuttavia risulta che, in particolare negli ultimi anni e nelle regioni meridionali italiane, siano stati catturati esemplari con le uova anche nei mesi di gennaio e febbraio. Anche il dentice è uno dei pesci vittime della devastazione della pesca con il cianciolo e, quindi, non stupisce che stia vedendo alterato il proprio ciclo biologico.
Gherardo Zei