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Il corpo e la mente
Sulla terraferma il rapporto tra il corpo e la mente è estremamente immediato e diretto. Se giochiamo a calcio in un prato proviamo sensazioni di semplice naturalezza. Corriamo sull’erba e la nostra muscolatura ed il nostro apparato cardiovascolare operano spontaneamente tutto ciò che è necessario per correre con rapidità ed equilibrio. Desideriamo calciare il pallone e – altrettanto automaticamente e inconsapevolmente – i nostri sensi calcolano in una frazione di secondo la distanza, la dimensione, la velocità e la direzione della sfera. Su un prato in una giornata di sole il nostro corpo lavora in condizioni di perfetta integrazione con gli elementi naturali che lo circondano e ci fornisce la massima performance senza bisogno che la mente gli offra alcun aiuto. Nel nostro elemento (la terraferma) tutti i movimenti sono – per definizione – naturali e quindi l’apporto della psiche può essere limitato allo studio della tecnica e della tattica dello sport in cui ci cimentiamo. Nulla da dire, è una cosa bella e naturale. Ma gli sport all’asciutto non richiedono una speciale apertura mentale o una grande e profonda consapevolezza di se. E nemmeno un particolare autocontrollo (e infatti non mi sembra che la maggior parte dei calciatori professionisti si controllino particolarmente, almeno a giudicare dalla scene che vediamo in campo). Negli sport sulla terraferma nascono frequentemente nuovi campioni che si appalesano improvvisamente. Sono di solito giovanissimi dotati di un grande talento fisico naturale che – in verdissima età (spesso addirittura prima della maggiore età) – esplodono nel mondo agonistico e scalano i vertici delle competizioni a livello mondiale.
In mare non accade niente del genere e nemmeno potrebbe accadere mai. Infatti in mare la mente è più importante del corpo, molto più importante. Pertanto dobbiamo prima diventare dei veri subacquei (è una consapevolezza da acquisire dentro la nostra mente!), e solo dopo potremo considerarci pescatori in apnea. E per “sentire” dentro la nostra testa di essere dei veri subacquei dobbiamo innanzi tutto diventare, senza altre alternative, dei filosofi.
Chi entra in acqua con lo stesso spirito con cui giocherebbe a pallone in un prato può al massimo sgambettare come un papero ferito. In mare il cuore di chi non è un vero subacqueo batte come impazzito per l’emozione ed i suoi muscoli si muovono convulsi. I suoi sensi sono annebbiati dalla maschera che si appanna, dal cappuccio, dall’acqua e dall’ansia. Un uomo che non sia un vero subacqueo scende verso il fondo per pochi metri con movimenti a scatti pieni di ansia e poi risale come un turacciolo sentendosi soffocare. Si muove senza nessun controllo sostanziale ed ogni pesce nel raggio di duecento metri fugge a pinne levate prima che costui raggiunga il fondo.
Ma di quale filosofia stiamo parlando? Non è facile trovare i concetti per spiegare cosa significhi la nostra filosofia acquatica e per esprimere compiutamente come si consegua questa trascendenza spirituale che si vive praticando l’apnea in mare. Noi apneisti siamo persone semplici e quindi non ci riesce facile trovare le parole per spiegare la “visione del mondo” che il mare ci ha insegnato. Se fossimo dei cattedratici probabilmente saremmo riusciti a valorizzarla in maniera tale che ne sarebbe nata una scuola di pensiero. Ma siccome siamo solo gente di mare ci dobbiamo “accontentare” della felicità. E di condividere il nostro fervore con pochi amici. In fondo forse è meglio così.
Cosa significa in pratica avere l’apnea nella mente? Forse posso riuscire a spiegare lasciando da parte gli aspetti più astratti e impalpabili e limitandomi ai risvolti più tangibili e metatecnici della filosofia del mare. E’ una lunga strada di introspezione, di autoanalisi e di autocoscienza.
Dopo questa mia ultima affermazione alcuni di voi forse rideranno. Certuni, per deridermi, mi porteranno esempi di colleghi che sono considerati unanimemente soltanto dei rozzi ammazzapesci. Ma io non mi lascio influenzare da questi pareri e continuo a sostenere che noi apneisti pescatori siamo tutti dei filosofi. Infatti non c’è nessuno (ma proprio nessuno) di noi che abbia superato l’esperienza di migliaia di ore in acqua senza sentire di essere diventato una persona diversa dentro.
La solitudine in mare è qualcosa che cambia le persone nel profondo. E’ una solitudine di impronta autistica e di violenza quasi intollerabile. E’ una solitudine cosmica e, a suo modo, metafisica. I sensi sono offuscati dall’acqua, dal cappuccio e dalla costrizione della maschera. Il tempo è scandito solo dal rumore angoscioso del nostro stesso respiro amplificato dal boccaglio. La luce è ridotta ed il paesaggio è alterato ed irreale. Il silenzio sul fondo è inumano ed i rari rumori sono inquietanti come quelli di un incubo.
Allora, in quel luogo metafisico, comincia per ciascuno di noi il dialogo con se stesso. Sul fondo del mare non c’è nessuna persona a cui chiedere. Non c’è un’istituzione familiare o sociale a cui appellarsi. Sotto il mare siamo soli con noi stessi e quindi non ci rimane che parlare con noi stessi. Comincia così il dialogo solitario del cacciatore con la sua anima. E parlando con noi stessi mentre ci sottoponiamo ad una difficile prova in mare, come quella di pescare in apnea con il fucile, iniziamo, piano piano, a conoscerci meglio. Cominciamo a comprendere, noi per primi, tutti i nostri difetti che avevamo spesso negato: la nostra avventatezza, l’iracondia, la distrazione, l’incoerenza, la superficialità. Il nostro meraviglioso sport ci insegna che la natura non è “Matrigna” come scrisse il poeta. La natura è giusta ed a ciascuno offre sempre ciò che gli spetta. E invariabilmente il mare premia il sacrificio di chi si impegna e, allo stesso modo, punisce severamente ma senza accanimento tutte le superficialità.
Per molti di noi che sono nati e sempre vissuti in città e che esercitano delle professioni molto astratte il mare è un ritorno alla ricerca di quelle radici che erano dei padri dei nostri padri. Questo è stato vero per me più che mai. E non posso trovare le parole per descrivervi la commozione che mi genera il fatto di essere diventato un bravo pescatore. Mi sembra una cosa talmente concreta, semplice e naturale. Una cosa giusta senza se e senza ma.
E alla fine una sera qualsiasi, durante un calasole, vi sembrerà che il mare sia la vostra vera casa. E che quella città da cui venite sia soltanto il lontano ricordo di un brutto incubo.
La strada è finita, siete diventati dei subacquei.