Filo diretto
La grande ricciola che “surfava” sul trigone
Vi proponiamo un estratto dell’articolo sulla cattura della grande ricciola da parte del nostro Jack Cubeddu. L’articolo completo lo troverete sul numero di settembre 2022, prossimamente in edicola.
Potrebbe sembrare una storia tratta da qualche libro di fantascienza o da uno naturalistico particolarmente “spinto”, riguardante l’amicizia, la collaborazione o, meglio, l’opportunismo tra animali. Ma ciò che mi è capitato lo scorso mese di giugno ha davvero dell’incredibile, tanto da lasciarmi l’amaro in bocca nei giorni a seguire per non esser riuscito a filmare la scena.
È il ventidue di giugno e decido di andare a fare due tuffi all’alba, nella speranza di incontrare qualche timido dentice condizionato dal termoclino alto. Il tragitto preventivato è lungo, vogliamo iniziare la giornata su una secca a circa sei miglia dalla costa.
Il vento soffia forte e scresta le onde rendendo la navigazione fastidiosa e bagnata.
Siamo quasi a un miglio e mezzo quando decido di desistere, virare e portare il gommone verso cale più sicure a terra.
Raggiunta ormai Isola Rossa, il vento inizia a cedere, dimostrando la sua natura termica. Decido così di cambiare nuovamente il programma e, anziché buttarmi all’aspetto, opto per andare a controllare alcuni segnali in basso e medio fondo, alla ricerca dei capponi che, da queste parti, hanno spesso dimensioni interessanti.
Tuffo dopo tuffo capisco che di pesce non se ne vede, ne piccolo né grande. Spezzato il fiato si cambia nuovamente e punto verso Cala Rossa, iniziando una serie di planate e tuffi in zone isolate tra i venti e i ventisei metri. La situazione già difficile passa a essere drammatica, con un taglio netto del termoclino e una moria di vita a partire dai diciassette metri.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere e mettendo insieme i tasselli definisco un’ipotetica linea da seguire. Decido così, definitivamente, di pescare a scorrere tra i quindici e i venti metri, sfruttando il termoclino, impugnando un’arma lunga e tentando aspetti e agguati con i “barcaioli” che mi seguono in corrente a motore spento.
Finalmente inizia a vedersi vita. Niente di eclatante, sia ben chiaro. Però compaiono qualche piccolo dentice, saraghi e qualche timida corvina. La batteria della cam è ormai al quindici per cento, sono appena le nove e mezza e sapendo di dover fare ancora tutta la mattina decido di preservarla fino al momento in cui dovessi incontrare qualcosa di interessante. Ed è proprio in queste situazioni così definite che accadono i fatti imprevedibili che stravolgono ogni logica.
Tuffo successivo, uno come tanti. Mi appoggio sul fondo a circa diciannove metri. Il taglio è alto a circa diciassette, definendo uno stacco netto della mangianza dal terreno. Scorrono i secondi senza sussulti quando, a un tratto, una sagoma nera sulla sinistra attira la mia attenzione.
Nel voltarmi appare un trigone di dimensioni giurassiche. La sua livrea dava l’idea di antico; una colorazione a macchie nere, bianco e grigio, con un tronco coda grosso quanto una testa e un’apertura alare impressionante. Un animale che tranquillamente poteva sfiorare i cento, centocinquanta chili.
Un bestione pazzesco che fa passare totalmente in secondo piano cosa nuota sopra, a pochi centimetri di distanza. Nel momento in cui stacco lo sguardo e definisco il tutto, stento a crederci. Sinuosa, assecondando i movimenti del trigone, nuota una ricciola, un pesce che in un primo momento stimo intorno ai quindici chili, proporzionandola a cosa l’accompagna.
Il tempo dell’analisi sul da farsi è breve e conciso. Stacco dal fondo e con una pinneggiata breve, cercando di mantenerla nella mia porzione di corpo esposto, guadagno i metri che mi separano dai due esemplari che nuotano qualche metro sopra il termoclino.
“Se non parte il trigone non parte la ricciola!” Ripeto come un mantra dentro la mia testa fino a quando, “scavalcato” il trigone, affido le mie speranze nel tiro del Mr. Carbon 105. Colpo impeccabile.
L’asta, per quanto leggera, entra quasi completamente nella ricciola che, centrata nella branchia, compie una rotazione su se stessa per poi affiancarsi al trigone, continuando a nuotarci insieme.
Nell’aprire il mulinello e guadagnare la superficie, vedendo i due animali affiancati, riesco a stimare finalmente il reale peso della ricciola. Non si tratta di un esemplare piccolo, è molto più grosso di quanto inizialmente stimato.
L’assecondo, condizionato anche dal fatto che l’asta, oltre a essere una sei e mezzo, è munita di una semplice monoaletta.
Raggiunta la superficie, avviso i miei compagni di preparare un altro fucile e di darmi assistenza seguendomi con il gommone. Il pescione nel mentre tira, sbobina quasi tutti i cinquanta metri, per fortuna portandomi su un fondale di sabbia in circa quarantacinque metri d’acqua.
Nel farmi passare il centoquindici per concludere i giochi abbandono quasi completamente le sagole, mantenendole giusto con un mignolo e tuffandomi in direzione del pelagico che, specchiando, mi indica la sua posizione. Raggiungo il pescione che, nel vedermi, ha un ulteriore sussulto e tenta di riguadagnare il fondo.
Ma ormai è tardi e mentre si gira la colpisco a centro corpo con l’asta da sette, stavolta a doppia aletta. Filo il mulinello e raggiunta la superficie posso godere a pieno della situazione.
Il grosso pelagico, alla bilancia supererà i trentadue chili.
Per sapere cosa ci stava dietro comportamento della ricciola che “cavalcava” il trigone, continua la lettura dell’articolo completo sulla nostra rivista, disponibile a Settembre online in formato digitale ed in edicola.