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La leggenda dell’over 40

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(di Gherardo Zei)

Ci possono essere fortuite circostanze personali e collettive che fanno di una “zingarata di pesca” di un punto di svolta e trasformano quell’episodio in una leggenda per quelli che orgogliosamente possono dire “io c’ero”, ma anche per tutti quelli che ne hanno solo sentito parlare. E questo è accaduto per il cosiddetto “raduno over 40” che, nel 2000, ha segnato per molti di noi, anche simbolicamente, l’inizio di un nuovo millennio di vita e di pesca. Per me personalmente il fatto che, nel misterioso e suggestivo anno 2000, io fossi destinato a compiere 40 anni e il mio figlio più grande 18, era più che sufficiente a fare di quell’anno un cardine di svolta della mia esistenza di pescatore e personale.

Inoltre, da pochi anni, si era aperto alla vita della società italiana il “nuovo mondo” di Internet e si erano creati arditi legami trasversali tra decine di migliaia di pescatori di tutta la penisola che, altrimenti, per collocazione geografica e caratteristiche personali e venatorie, non avrebbero mai avuto niente in comune. Le prime “Mailing List” traboccavano di utenti e provocavano l’entusiasmo unanime e anche un ribollire di nuove amicizie, discussioni e flames. Qualsiasi “polparo” si poteva trovare in qualunque momento a discutere (senza che nessuno dei due si rendesse conto di chi era l’altro) di tecniche di pesca con il Campione del Mondo, e c’era tutto un mondo nuovo al quale anch’io mi affacciavo con divertita curiosità.

Certo, oggi come oggi, sul social network Facebook io procedo spedito verso i tremila amici e tutto è cambiato. Ma, allora, la rete era davvero un territorio di pionieri, e la maggior parte di quelli che la frequentavano faceva, per la prima volta, l’esperienza di un tipo di amicizia del tutto nuova, che sconvolgeva i modelli sociali. Perché essere amici (ma intendo amici per davvero) di una persona mai vista ne conosciuta oggi ci sembra normale, ma alla fine degli anni novanta era un qualcosa di nuovo e sorprendente. Iniziarono ovviamente a organizzarsi i primi raduni di pescatori subacquei conosciutisi sul web. Qui non voglio fare una classifica di valore, anche perché non sarebbe ne giusto ne utile, ma sono convinto che, per una serie di circostanze governate da un curioso destino, il “Raduno Over 40” dell’anno 2000 possa a buon diritto essere ricordato come il simbolo di quell’epoca.

Non ricordo chi avesse avuto l’idea, ma cominciò a rimbalzare sulla Mailing List di Pescasub quest’iniziativa di fare un raduno per gli Over 40 all’Argentario. Alla fine fu scelto un fine settimana di febbraio. Come dicevo si trattava di uno dei primi raduni del genere (tra persone sconosciute che avevano fatto amicizia solo sul web e provenivano da tutte le parti d’Italia) e per me cadeva quasi alla perfezione. Infatti proprio nel febbraio 2000 avrei compiuto 40 anni e, inoltre, il fine settimana prescelto era proprio quello precedente alla “settimana bianca” che detesto ma è un sacrificio annuale che faccio per la famiglia. Con questa pescata collettiva speravo di caricare le batterie abbastanza per poter sopportare la settimana piuttosto noiosa con gli sci ai piedi. La girandola di messaggi nella mailing list non permetteva di inquadrare bene la situazione, ma, comunque, era chiaro che c’era un bel numero di adesioni e quindi prenotai per me e per mia moglie un albergo sul bivio di Orbetello. Infatti il raduno era aperto anche alle signore e si prevedeva una grande cena il sabato sera e una pescata collettiva sul promontorio dell’Argentario la domenica mattina. Giunsi al punto stabilito per il primo incontro ed eravamo davvero tanti. Ci conoscevamo già virtualmente, ma per molti solo con i soprannomi (nickname) come “Saragone” (Stefano Bianchi il presidente di PescApnea) oppure “Gatto Libero” (Lucio Pappadà), e ci dovevamo presentare in modo più convenzionale. In mezzo a noi c’era Marco Bonfanti (Mr. Carbon) che, a parte la sua consueta modestia, era uno dei principali organizzatori e c’era anche Fabio Antonini, che non è un navigatore internet e quindi costituiva la prima sorpresa della serata. Una carovana di macchine veramente impressionante partì verso Scansano, dove Alessandro Rossi Lemeni (ARL), che con la propria dimensione fisica dava testimonianza della sua passione per la cucina, aveva scelto un ristorante all’altezza del raduno. Entrammo nell’ampia sala già euforici e non facemmo quasi in tempo a sederci che dall’ingresso entrò la seconda sorpresa… cioè entrarono Guerrino Casini con Maurizio Ramacciotti e subito dopo Riccardo Molteni. Tutti si rialzarono dai tavolini e ci radunammo spontaneamente al centro della sala in un’apoteosi di strette di mano, pacche sulle spalle, strizzate d’occhio e battutacce sulla pescata del giorno dopo. Il tutto davanti agli sguardi esterrefatti di uno stuolo di mogli e fidanzate che osservavano, completamente stupefatte, un fenomeno di cui non riuscivano a cogliere la ragione profonda. Ed ebbe inizio una cena pantagruelica, di quelle da sconsigliare assolutamente a chi deve andare a pesca il giorno successivo; ma l’euforia era troppa e nessuno si tirò indietro. Alessandro Rossi Lemeni sostiene ancora oggi di avere contato più di una bottiglia di vino rosso a testa (ma io non penso di avere bevuto così tanto, anche se lui insiste di avermi versato il vino personalmente).

A notte fonda (troppo tardi per andare a pesca il giorno dopo) mentre rientravamo in macchina agli alberghi, la notte intorno a noi era caratterizzata da un freddo polare e nevicava leggermente (era addirittura troppo freddo per una nevicata forte). Tra l’altro ero stato all’Argentario il mese precedente con Marco Bardi e si era faticato a mettere insieme qualche spigola; quindi pensavo che la nostra missione in mare il giorno successivo si sarebbe trasformata, dato lo stato fisico e psicologico del gruppo, in una caporetto venatoria. Ma era una cosa da fare così, tanto per divertirsi; tuttavia mi ripromisi di essere molto prudente.

La mattina dopo vennero scarrellati parecchi gommoni da Porto Santo Stefano (mentre giungeva notizia che anche Marco Bardi, Massimiliano e Giorgio Volpe stavano entrando in acqua da Porto Ercole). Nello stesso tempo un gruppo di noi, rimasto senza gommone, e capitanato da Stefano Bianchi, si dirigeva in macchina ad Isola Rossa. Insomma eravamo tutti presenti. I gommoni erano carichi all’inverosimile e quello di Rossi Lemeni, impossibilitato a planare, procedeva in dislocazione come un gozzo. Io dovevo anche scrivere un pezzo sul tipo “A pesca con Ramacciotti” e, per questo, ero stato aggregato al gommone dei campioni insieme appunto a Maurizio, a Riccardo Molteni, Guerrino Casini, Fabio Antonini. Fummo scaricati lungo costa a intervalli regolari con promessa di venirci a riprendere. Per primi io e Ramacciotti e poi gli altri di seguito. Per più di un’ora ho rinunciato a pescare e ho seguito come un’ombra Maurizio, che in quel periodo di tempo, nonostante il mio disturbo, ha catturato un paio di spigole. Vedevo che c’era pesce a dispetto dell’inferno che avevamo scatenato in tutta la zona. Poi l’ho lasciato, pensando di cercare di pescare anch’io almeno un’oretta (per ragioni di sicurezza si erano stabilite solo 3 ore di mare prima di iniziare le operazioni di recupero di tutti gli equipaggi. Lasciai a Maurizio sulla punta verso nord e sulla punta successiva vedevo ancorato il gommone rosso di Alessandro Martorana. Quindi per me avevo solo la baia con la pietraia, non molto ma era tutto quello che c’era e mi misi ad esplorarla. La risacca era molto potente e non avevo una piombatura adeguata. Cercai di zavorrarmi con qualche sasso nei bermuda ma – nella pietraia senza appigli – venivo trascinato avanti e indietro. Una serie di ombre di spigole a mezz’acqua mi svegliarono dalle mie riflessioni sulla zavorra. Erano decine di spigole che stazionavano a mezz’acqua sulla pietraia, nella zona di confine tra la visibilità e il torbido assoluto. Potevo avvicinarmi all’agguato ma continuavo ad ondeggiare e non riuscivo a mirare sui pesci che mi sciamavano nervosamente intorno. Ne padellai due di seguito. Poi giurai a me stesso che, anche se ero circondato dai pesci, avrei sparato solo a colpo sicuro anche a costo di non sparare mai più e, così facendo, riuscii a catturare due spigole consecutivamente. Mi stavo giusto rilassando e cominciavo a pensare che, anche in quel poco spazio, se continuava così, avrei fatto una pescata mostruosa, quando un’onda improvvisa e molto più forte intorbidii tutta zona al punto da rendere nulla la visibilità. Sapevo che le spigole erano ancora li ma non potevo più vederle. Tentai qualche tuffo nella zona più esterna ma i pesci non c’erano, evidentemente erano tutti nella parte interna della baia e stazionavano ferme sulla pietraia di ciottoloni tondi (strano comportamento). Ma erano scadute le tre ore e arrivò a riprendermi il gommone, stracarico di campioni e di decine e decine di spigole (credo che, tra i campioni, chi ne aveva prese 10 era quello che era arrivato ultimo). Io con i miei due pesci ero in inferiorità, ma avendo pescato solo un’ora ero contento; oltretutto senza quell’ondata anomala ne avrei catturate sicuramente almeno altre due o tre. Stavamo per rientrare quando vidi Martorana, ancora in acqua, che mi salutava e mi chiedeva come fosse andata. Feci segno di due spigole e gli indicai la pietraia verso la quale subito giustamente si diresse (prendendoci anche lui se non erro un paio di spigole). Evidentemente i pesci non erano sulle punte ma fermi a mezz’acqua sulle pietraie delle baie interne. Un comportamento davvero strano. E poi anche sul gommone tutti raccontavano di avere trovato quelle strane spigole ferme a mezz’acqua e, come sempre, i racconti di Fabio Antonini erano particolarmente coloriti e suggestivi. Ci fermammo (si fa per dire con quella risacca) con il gommone ancorato a fare un paio di foto ricordo e Riccardo Molteni, mentre ci faceva una foto con macchinetta fotografica subacquea in pugno e una specie di gonna di spigole intorno alla vita, improvvisamente, perse l’equilibrio sul pagliolo e sul tubolare – che erano resi totalmente viscidi da una quantità inverosimile di pesci – e sforbiciò all’indietro volando in acqua e dando l’impressione di sbattere sul motore. Ci precipitammo a poppa gridando preoccupati e sentivamo anche Riccardo che gridava ed eravamo per questo ancora più preoccupati. Invece lo vedemmo in acqua incolume che stringeva ancora in pugno la macchina fotografica e gridava “datemi una maschera! Le spigole, le spigole! Datemi una maschera!” Aveva perduto nell’impatto il gonnellino di spigole e l’unica cosa che voleva era una maschera per recuperarle. Tra il sollievo e le risate, detto fatto, le spigole furono recuperate e ci avviammo per il rientro trionfale. A terra tutti avevano catturato almeno qualche spigola e, ritrovandoci tutti insieme, con le mute bagnate sotto il nevischio, vivemmo un momento di grande empatia collettiva sulle banchine di Porto Santo Stefano. Davanti a pochi passanti infreddoliti, eravamo decine di pescatori con le nostre spigole e ciascuno con la sua storia da raccontare. Campioni e pescatori comuni, eravamo tutti insieme, finalmente uniti. Eravamo i “fratelli della costa”. Non credo che, dopo l’incontro del giorno precedente, e la cena pazzesca della sera prima, nessuno di noi dimenticherà mai quella folle pescata collettiva di spigole all’Argentario sotto la neve di un febbraio di tanti anni fa. Con la svestizione cominciarono gli scambi di numeri di telefono (dopotutto eravamo ancora quasi degli estranei), le pacche sulle spalle e gli addii. Ognuno di noi era destinato ad allontanarsi verso la sua regione e, negli gli anni a venire, avrebbe raccontato cento volte quei due giorni con tutte le sfumature, facendo diventare il “Raduno over 40 del 2000” una piccola leggenda del nostro sport.

La ragione della presenza di tutte quelle spigole e del loro comportamento anomalo fu poi spiegata nei mesi successivi. Pare che nel tardo autunno si fosse rotto un vascone di allevamento in zona e che i pesci si fossero allontanati verso un luogo remoto al largo, per poi riavvicinarsi improvvisamente a terra (forse per la riproduzione) proprio la mattina dell’Over 40. Era stato un caso e non un miracolo, ma certo del miracolo aveva avuto tutta la suggestione.

La sera di quella domenica, mentre mi allontanavo in macchina dal bivio di Orbetello ero ben cosciente che il sabato successivo sarei partito per la montagna, mentre molti altri sarebbero tornati a cercare quei pesci. Beati loro. Comunque ero felice. Sapevo che, anche vent’anni, dopo avrei sempre potuto dire che il giorno del raduno over 40 io c’ero.

Gherardo Zei

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