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L’aspetto e l’agguato visti con gli occhi dei pesci
Con il passare degli anni è forte nei vecchi pescatori la sensazione di arrivare, sempre più spesso, a capire cosa pensano i pesci. Si tratta di una percezione istintiva, fatta di attimi e di intuizioni che portano a concentrarsi verso una direzione piuttosto che verso un’altra oppure a scegliere una certa manovra di cattura invece di un’altra.
Se facciamo un esperimento e chiediamo ad un bravo pescatore per quale ragione abbia fatto certe scelte, lui, quasi sicuramente, ci risponderà che aveva capito che il pesce avrebbe “girato” in una certa maniera o che sarebbe arrivato da una determinata direzione. Ma se proviamo a chiedergli come ha fatto a capirlo, il nostro pescatore potrebbe trovarsi in leggera difficoltà a rispondere. Infatti, in mezzo a tante ragioni legate a riflessioni oggettive (corrente, luce, temperatura dell’acqua, stagione ecc.), costui avrà sicuramente utilizzato molti indizi derivanti dall’atteggiamento del pesce ed è difficile razionalizzare questo genere di intuizioni legate ad una conoscenza istintiva che nasce dalla lunga frequentazione degli animali marini. Infatti si tratta di deduzioni che postulano, in qualche modo, una specie di conoscenza del “linguaggio” dei pesci e ciascuno di noi (giustamente) ha paura di essere preso per matto se dice che capisce l’idioma delle creature del mare. Ma, alla fine, anche se utilizziamo definizioni più innocenti come “istinto” o “fiuto del pesce”, sempre di quello si tratta: prevedere quello che avverrà mediante la comprensione del “linguaggio” dei pesci. Un linguaggio fatto di movimenti e di atteggiamenti.
A costo di farmi prendere per matto con questo pezzo voglio provare a far parlare per voi quattro pesci che conosco molto bene: un sarago, un cefalo, una spigola e un orata. Per questo esperimento ho scelto per ciascuna di queste specie una situazione di pesca piuttosto tipica (ma solo una delle tante che si verificano tutte le settimane nella pesca pescata).
Il sarago
La zona era di bassofondo. A cento metri da terra c’erano alcune zone molto spaccate nel grotto dov’erano le tane inespugnabili di alcuni branchi di saraghi di peso. Con la risacca questi pesci avevano l’abitudine di uscire dalle tane e portarsi in mezzo metro d’acqua a banchettare con il cibo staccato dalle onde. Era un giorno di scaduta e il pescatore subacqueo, che conosceva bene quella situazione, si era appostato a mezza strada tra l’onda della risacca e le tane situate cento metri più al largo. Il sub stava fermo in una buca del grotto, guardando verso terra e chiudendo la strada ai saraghi che – se avessero voluto tornare verso le tane – gli sarebbero dovuti transitare più o meno nelle vicinanze. Ma cosa successe? E soprattutto cosa pensarono i saraghi?
Un gruppo di tre grossi saraghi maggiori stava pascolando in una buca di sabbia proprio sotto il cavo dell’onda a dieci metri da terra. Improvvisamente il più piccolo percepì il nervosismo di un branco di salpe che stava abbandonando frettolosamente una zona di posidonia, su cui stavano mangiando fino a pochi istanti prima, per dirigersi rapidamente in diagonale verso il largo. Il sarago si alzò fino ad un palmo dalla superficie per percepire la situazione con la linea laterale. Non sentì nulla di pericoloso ma certamente parecchie cose “strane”. Le salpe stavano accelerando verso il largo ma non direttamente, bensì su una diagonale, come se stessero evitando qualcosa dalle parti di una buca di sabbia. Una quantità di castagnole si addensavano sopra la buca e alcune piccole occhiate si stavano dirigendo rapidamente da quella parte. Il sarago non sentiva presenza di predatori ma qualcosa di strano c’era; tuttavia era molto incerto se potesse essere qualcosa di buono da mangiare o qualcosa di pericoloso. Gli altri due saraghi – sentendo il compagno così sollevato e “in ascolto” – si erano alzati anche loro ad ascoltare. E di lì a pochi secondi i tre pesci, ormai incuriositi/innervositi, lasciarono la buca e si diressero prudentemente in direzione del largo dov’era la loro tana, ma, così facendo, andavano anche verso quella famigerata buca di sabbia sulla quale si stavano addensando le occhiatine, le boghe e un piccolo branco di fasciati che non manifestava nessun segnale di pericolo. I tre saraghi procedevano con la pancia radente gli scogli e facevano periodicamente piccoli scarti per sentire meglio con la linea laterale tutto il mare circostante. Andavano quasi perfettamente dritti verso la buca, anche perché la loro tana era proprio in quella direzione a meno di cinquanta metri di distanza e, del resto, tutti e tre pensavano che se la fuga delle salpe significava la presenza di un grosso pelagico era meglio guadagnare rapidamente la tana di roccia. Improvvisamente uno scarto violento di due dei piccoli fasciati che erano arrivati quasi dentro la buca fece scartare istintivamente anche i tre saraghi maggiori. Cosa stava succedendo? I due fasciati avevano visto qualcosa nella buca a distanza ravvicinata? Eppure le linee laterali dei tre maggiori ancora non percepivano niente. I tre sparidi tornarono indietro di tre metri verso terra e poi di nuovo virarono verso il largo in direzione della buca. Lo scarto dei due piccoli fasciati li aveva spaventati ma la curiosità era ancora forte, anche perché la loro linea laterale continuava a non percepire niente, a parte le formazioni rocciose che si sollevavano ai margini della buca. Ripartirono dunque verso il largo ma mantenendo una posizione maggiormente prudente e più distante e tangente rispetto alla buca. Specie i due più grossi ormai si allontanavano sulla tangente senza fuggire disordinatamente ma in modo rapido e deciso (avevano deciso che se c’era il dubbio di un pericolo avrebbero fatto un giro più largo per raggiungere la tana). Il terzo sarago di circa sette etti teneva una rotta tangente più vicina alla buca, la sua curiosità non era stata ancora vinta del tutto dalla paura. A questo punto avvenne il fatto. La rotta del sarago maggiore fu incrociata dalla rotta di un sarago pizzuto di trecento grammi che si dirigeva deciso verso la buca, mantenendosi mezzo metro sopra il fondo. Il pizzuto filava dritto e deciso verso il pescatore all’aspetto come solo un sarago pizzuto può fare. Il sarago maggiore ne fu confuso e il suo istinto di procurarsi il cibo fu fortemente sollecitato dal comportamento del sarago pizzuto. Forse c’era del cibo nella buca e questo pizzuto stava andando a mangiarselo? Ci fu solo un attimo di indecisione, nel quale il sarago maggiore, pur mantenendo la rotta verso il largo, scartò decisamente verso la buca per passare su una linea tangente leggermente più vicina per “sentire” meglio con la linea laterale se, per caso, nella buca non ci fosse davvero del cibo. Fu l’errore fatale. Il sarago sentì qualcosa che si sollevava leggermente e istantaneamente dalla buca. Un oggetto lungo e uno rotondeggiate che sembrava quasi la testa di un polpo gigantesco. Una leggera rifrazione colpì anche la sua vista, come un raggio di luce su una superficie di vetro: una maschera da sub. Era un pescatore subacqueo e i ricordi di situazioni del genere si affollarono nella mente del sarago che fu invaso dalla sensazione di pericolo e di panico e si getto accelerando verso il largo e verso il basso. Ancora una frazione di secondo e la sua linea laterale percepì, drammaticamente, un oggetto acuminato e pesante in avvicinamento a velocità inimmaginabile. Subito lo sparide tentò istintivamente la classica azione di schivata della sua specie, con inversione di rotta e tuffo in basso verso tra rocce, ma era troppo tardi e la freccia lo raggiunse prima che potesse completare il movimento mettendolo in sagola.
Il cefalo
Il grande branco di cento grossi cefali stazionava a mezz’acqua, nutrendosi della ricca sospensione portata alla corrente. I pesci sciamavano creando una specie vortice che roteava lentissimamente su se stesso e, contemporaneamente, si lasciava scarrocciare dalla corrente. Tutte le linee laterali contemporaneamente percepirono qualcosa che cadeva in acqua ad una quindicina di metri di distanza. Era un oggetto grande che scendeva ondeggiando verso il fondo. Il branco reagì istintivamente al lieve disturbo e pigramente prese un andamento lineare in lentissimo allontanamento dall’oggetto che stava cadendo verso il fondo, ma una decina di pesci che si trovavano dalla stessa parte in cui era caduto l’oggetto si girarono, invece, dalla parte opposta, prendendo una direzione di avvicinamento diagonale rispetto all’oggetto che cadeva. Erano pervasi da una curiosità atavica e cercavano di capire cosa fosse quel corpo che stava planando in modo non aggressivo verso il fondo. Poi, improvvisamente, il corpo scomparve dal “monitor” della linea laterale. I dieci cefaloni continuarono per un paio di metri sulla loro diagonale continuando ad “ascoltare” il loro sonar interno ma tutto quello che “sentivano” era un fondale di rocce frastagliate desolate e deserte. Eppure anche se fosse stato un oggetto inanimato avrebbe dovuto essere ancora percepibile, spostato avanti e indietro dalla risacca. La curiosità era troppa e il capogruppo dei dieci cefali virò verso l’ultimo punto in cui l’oggetto era stato udibile in prossimità del fondale. I dieci cefaloni avanzavano sicuri con nuoto lento due metri sotto la superficie e colmarono rapidamente i dieci metri che li separavano dal punto presunto di presenza dell’oggetto caduto. Giunti in prossimità cominciarono a rallentare e cercarono di “ascoltare” più attentamente (doveva per forza essere da quelle parti). Erano quasi fermi quando arrivarono praticamente sulla verticale del pescatore subacqueo che era accuratamente nascosto dentro una spacca e costui cominciò a mettere in mira il più grosso brandeggiando molto lentamente dal basso verso l’alto. La linea laterale di un cefalo non è adatta a percepire qualcosa che è situato esattamente sotto di lui e quindi il movimento non veniva “sentito” se non in modo molto leggero, vago e incomprensibile. E, paradossalmente, il fatto di percepire qualcosa di così incerto e indecifrabile spinse i cefali a rallentare ancora di più, con il chiaro atteggiamento di chi sente qualcosa ma non capisce bene di cosa si tratti ed è assorto nell’ascolto ed in preda ad una grande curiosità. Ed i cefali erano praticamente fermi sopra il pescatore, quando quest’ultimo, ultimata la fase di mira sul più grosso, scoccò il tiro a colpo sicuro.
La spigola
In uno dei primi giorni freddi di novembre due belle spigole erano giunte fino a terra nei pressi della foce di un fiumiciattolo stagionale imbrancate in un branco di salpe di entrata. Una volta a terra le salpe si erano fermate sulle lussureggianti praterie di posidonia che caratterizzavano la zona e le spigole avevano continuato ad incrociare nelle vicinanze rimpinzandosi di cefaletti e di piccole boghe. Pattugliavano autorevolmente il territorio scacciando i piccoli predatori locali come perchie o sciarrani. Stavano filando a mezz’acqua quando una delle due percepì improvvisamente un corpo che avanzava rasente il fondo, quasi nascosto dietro la grande massa delle salpe che brucavano e roteavano a mezz’acqua. Cos’era? Le dimensioni del corpo erano difficili da interpretare in quanto lo stesso avanzava restando parzialmente occultato dalle asperità del fondale. Le salpe erano tranquille e ciò faceva pensare che non fosse un pescatore subacqueo e comunque che non fosse un pericolo. Forse era un’aquila di mare oppure un grosso polpo? Poiché la spigola non riusciva a catalogarlo come un pericolo decise di identificarlo come un possibile antagonista e lo puntò. Dritta avanzava e cercava di vedere con la visione anteriore (visione possibile in una spigola) e ad ogni scodata laterale cercava di percepire meglio con la liena laterale la dimensione e la tipologia del corpo che – nel frattempo – aveva smesso di avanzare e si era incastrato tra gli scogli rannicchiandosi e rendendo più difficile l’identificazione. Giunta a tre metri dal corpo la spigola si convinse che, qualsiasi cosa fosse, il corpo era troppo grosso per riuscire a spaventarlo e poi gli sembrava che dal fondo si stesse muovendo qualcosa al suo indirizzo e, quindi, prudentemente, decise di invertire la direzione per sentire meglio il corpo con la linea laterale. Ma non fece in tempo a completare la virata, perché la freccia la trapassò colpendola d’incontro.
L’orata
L’orata era appena arrivata vicino alla costa per la riproduzione di novembre. Da tanto tempo viveva quasi tutto l’anno in una secca in mezzo al mare e poi si avvicinava a terra solo in autunno per cercare il montone. Nella sua vita era stata fortunata e aveva incontrato raramente l’uomo in mare e, solo in un paio di occasioni, si era imbattuta in reti e palamiti, fortunatamente senza conseguenze. Quel giorno era entrata a terra insieme ad un’altra decina di orate che abitavano nella sua stessa secca ma poi si era fermata a rimpinzarsi su un grosso ciuffo di cozze ed era rimasta a lungo a cibarsi, così intenta e assorta e quasi assordata dal rumore delle sue stesse mandibole, che aveva perso il contatto con le sue compagne. Ma non si era preoccupata, si sarebbero sicuramente riviste al montone non appena lo avessero trovato. Nel frattempo si era messa a seguire un gruppetto di cefali che spesso sono bravi “cani da caccia” che portano le orate che li seguono in zone ricche di vongole e cannolicchi. Stava seguendo i cefali da un po’ quando d’improvviso li vide spaventarsi e accelerare. Anche l’orata accelerò dietro ai cefali e, così facendo, sfilò di fianco al pescatore subacqueo appostato che non fece in tempo a brandeggiare per metterla in mira. Mentre i cefali con l’orata si stavano allontanando il corpo del pescatore subacqueo eseguì la staccata per riemergere e i tre cefali scattarono in avanti molto spaventati (evidentemente avevano avuto precedenti brutte esperienze) e l’orata li seguì quasi per inerzia. Dopo una ventina di secondi di permanenza in superficie il pescatore si tuffò nuovamente e cadde come una foglia morta verso il fondo. I tre cefali – ormai lontani e fuori dalla visibilità del subacqueo – tuttavia lo sentivano benissimo con la linea laterale e, percependo il suo movimento di caduta, iniziarono una rotta circolare con la finalità di continuare a controllare la velocità e la direzione del corpo del pescatore. Non appena quest’ultimo scomparve come per magia confondendosi tra le rocce del fondo i tre cefali fecero un altro mezzo giro sempre a debita distanza e poi definitivamente si diressero verso il largo, abbandonando la zona (evidentemente avevano avuto precedenti esperienze negative con pescatori subacquei e quindi preferivano saggiamente allontanarsi). L’orata invece era confusa. Quello strano corpo era come scomparso nel nulla e i cefali si stavano allontanando decisamente. Mentre l’orata sentiva di essere piena di curiosità e, anche se provava un indefinibile senso di preoccupazione, prese ad avvicinarsi al punto in cui il corpo del pescatore era scomparso, mantenendosi alta con un’andatura prudente. Con la massima circospezione continuava a monitorare tutta la zona con la linea laterale ma davvero non c’era niente (eppure la linea laterale di un’orata è uno strumento della massima ampiezza e precisione). Superato il sommo di un grosso massone, infatti, percepì perfettamente il corpo del pescatore nascosto dietro al massone. Era grosso ma continuava a rimanere passivamente fermo e non sembrava minaccioso. L’orata era pronta a scattare e sarebbe bastato anche un minimo movimento per farla partire, ma il corpo continuava a restare immobile e quindi l’orata si limitò ad invertire lentamente la propria direzione in modo da “sentire” ancora meglio il corpo nascosto. Era grosso e fermo ma l’orata decise comunque che il gioco era durato abbastanza e si girò per andarsene definitivamente dando subito le prime due o tre scodate in direzione opposta. Il pescatore che era rimasto immobile come una statua fino a quel momento approfittò di quell’istante in cui – essendo girata perfettamente di coda – l’orata aveva più difficoltà a monitorarlo e brandeggiò di quel poco che gli bastava per un tirò d’imbracciata. L’orata troppo in ritardo sentì che c’era qualcosa dietro di lei che si muoveva e alzò la spina per preparare lo scatto ma la freccia la raggiunse dalla base della coda e la trapasso fino a sopra la testa e così infilzata l’orata cadde pesantemente sul grosso massone che aveva appena sorpassato.