Vi proponiamo un estratto dell’articolo del nostro Gherardo Zei. L’articolo completo lo troverete sul numero di ottobre 2022, prossimamente disponibile ONLINE ed in edicola.
Pescatrice e cacciatrice, il primo a credere nelle sue potenzialità è stato il grande Massimo Scarpati. Poi, però, la molla è coincisa con una cena tra amici e la promessa di provarci”. Da lì sono arrivate le selettive e il Secondo posto all’Assoluto di Gherardo Zei
Nessuno immaginava che l’ingresso delle pescatrici nell’agonismo avrebbe provocato un vero e proprio terremoto. Eppure le cose sono andate così. L’interesse per le prestazioni delle nostre colleghe ha raggiunto livelli altissimi e l’impresa al campionato assoluto di Tiziana Martinelli – già parte del Club Azzurro – non ha stupito proprio nessuno. Ma al secondo posto si è piazzata un’atleta che non molti conoscevano: Emanuela De Lullo.
Lettrice di Pescasub dalla prima ora, Emanuela era già venuta a trovarmi nello Stand di Pescasub allo scorso Eudi Show. E così, dopo la prestazione maiuscola dell’Assoluto, sono stato io a chiederle di incontrarci di nuovo per raccontare la storia della sua crescita come pescatrice e come agonista. Ed ecco che un sabato mattina ci siamo incontrati in un bar di Santa Marinella per una chiacchierata.
Emanuela, come sei arrivata a essere una pescatrice in apnea?
«Diciamo che sono nata con lo sport nel sangue. Ho praticato tanti anni di agonismo nel nuoto e poi mi sono data alla pallavolo, arrivando fino in serie B. Ma già pescavo da quando avevo 17 anni. Infatti, proprio a quell’età ho incontrato mio marito, grande appassionato: è stato lui a comprarmi la prima muta, era della Omer. Ci siamo conosciuti in Calabria e lui subito mi ha portato in mare con il Cyrano 50 con la fiocina, le pinne Rondine della Cressi e una maschera prestata. Messo la testa sott’acqua ho scoperto questo mondo sconosciuto a colori del Tirreno, perché fino ad allora, sott’acqua, ero sempre andata in Riviera romagnola dai miei genitori a fare vongole e telline».
Il primo pesce?
«Me lo ricordo come se fosse ieri. Eravamo alla Frasca, nella zona delle piccole casette, subito a nord della centrale. Quel giorno ho iniziato a seguire mio marito che mi diceva come fare. E così ho preso il primo pesce, un saraghetto. Con mio marito siamo cresciuti insieme nella pesca, che è sacrificio e investimento di soldi e di tempo. Lui però non è mai frequentato il mondo delle gare e, per questo, abbiamo sempre interpretato l’andar sott’acqua come un piacere personale. Quindi nemmeno io avevo mai preso in considerazione l’agonismo.
«Il primo pesce interessante è stato un cefalo, poi la prima spigola e le cernie e le corvine. Al diciottesimo compleanno ho ricevuto un Monoscocca 75 della C4. Poi, la prima muta nuova su misura, una Top Sub per la quale, ricordo, mi presero le misure al primo Big Blu, dove ho conosciuto Silvano. Anche se dopo sono passata alla Polo Sub a farmi fare un po’ di mute su misura da Giuliano. Infine, ho iniziato a scoprire l’aspetto e l’agguato. Ma la pesca in tana è stata una palestra che mi ha formato».
Dicono che sei anche cacciatrice…
«Sì, quasi contestualmente alla pesca mio marito mi ha introdotto anche alla caccia. Per i primi anni l’ho soltanto accompagnato. In Italia non esiste un movimento femminile della caccia. Non abbiamo la cultura come in Scozia, dove è normale essere cacciatrici. Ma alla fine ho preso la licenza e con i nostri tre setter andiamo assieme a beccacce. Paragono la caccia alla beccaccia con la caccia al dentice. Quella che pratichiamo noi va da ottobre a gennaio. Ecco perché una parte dell’anno la dedico alla pesca e una parte alla caccia».
E come sei arrivata all’agonismo?
«Durante le vacanze ero l’unica donna che andava a pescare. La mattina partivano gli uomini con le alzate all’alba e io arrivavo con la mia tutina; sembravo fuori quadro poi, invece, il mio pescetto lo tiravo fuori. E qualsiasi cosa ci fosse da fare mi rendevo disponibile. Pertanto, mi hanno preso sotto l’ala protettrice e mi sono trovata con gli uomini che mi trattavano alla pari. E mi hanno accettata.
«Diciamo che se ho iniziato con le gare la colpa è stata di Massimo Scarpati, grande mito del passato ma anche grande cacciatore di terra. Lo abbiamo conosciuto e abbiamo stretto amicizia frequentando l’ambiente dei cacciatori della Sardegna. Con la sua semplicità partenopea mi ha messo a mio agio. E la donna cacciatrice e pescatrice lo incuriosiva. Un giorno in cui gli stavo raccontando che avevo preso un certo pesce, lui mi ha detto: perché non provi con le gare? Per come la vedo – ha continuato Scarpati – le donne sono quelle che possono salvare la pescasub. Possono migliorare l’immagine perché voi donne avete un messaggio importante. La donna che dona la vita può spiegare meglio di tutti perché la pescasub è ecologica. Siete in grado di portare una ventata di novità e di capacità di convincere.
Insomma, Scarpati cercava di convincermi. Poi ci si sono messi anche Giovanni Piras e Francesco Piras. Alla fine ho accettato a causa di una scommessa a tavola. Prova a fare una gara e vedi come va, mi hanno detto. Vediamo se riesci, altrimenti vuol dire che abbiamo torto noi».