Grosse, muscolose, furbe e voracissime. Questo l’identikit delle super orate che hanno ormai colonizzato il Golfo dei Poeti.
La notizia è di ieri, 23 gennaio, e non è una voce di corridoio che striscia sulle bacheche dei social: è apparsa sul quotidiano Repubblica, a firma di Massimo Calandri.
Sono state pure quantificate: sembra siano più di 600 quintali di pesci quelli che, resi spavaldi dalla (relativa?) intoccabilità garantita dall’area portuale del porto spezzino, stanno facendo incetta di mitili e ostriche degli allevamenti locali.
L’origine di questo branco di orate si fa risalire a dei riproduttori fuggiti dalle vasche dell’acquacoltura toscana e del Tigullio ligure.
Certo, non ne sono contenti gli allevatori locali, che vedono decimati i loro molluschi! Il portavoce e presidente della Cooperativa Mitilicoltori associati, Paolo Varrella, parla di “inquinamento genetico”. La richiesta della categoria è che il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, competente per la materia, consenta l’utilizzo delle reti per mitigare questa “minaccia all’equilibrio naturale”. Un copione che ricorda in parte quello del “casus” dei cinghiali.
Questi pesci sembrano aver modificato anche le loro abitudini migratorie legate alla stagione: se prima arrivavano in aprile e sparivano a ottobre, adesso, all’interno della diga, zona interdetta alla pesca professionale, si sono stabilite in maniera permanente. Sarà forse colpa dell’aumento della temperatura media dell’acqua che parrebbe essere cresciuta di ben 5 gradi rispetto alle medie passate?
Intanto i mitilicoltori denunciano una perdita di prodotto superiore al 70%: se nel passato si raccoglievano fino a 27.000 quintali di muscoli, quest’anno le previsioni parlano di appena 6.000 quintali.
Non si sono, naturalmente, fatte aspettare le considerazioni degli esperti, scienziati e istituzioni. Il professor Corrado Piccinetti, biologo marino dell’Università di Bologna, ricorda che il 99% del pesce sulle nostre tavole arriva da allevamenti: per quanto riguarda l’orata, si parla di circa 10.000 tonnellate l’anno (circa 20.000, 25.000 importate dall’estero). Per Piccinetti il clima e l’uomo possono sensibilmente influire sulle specie di pesci ma “sono alti e bassi ciclici: in mare l’equilibrio torna sempre da sé, naturalmente”.
Dalla Fondazione Acquario di Genova, Antonio Di Natale, biologo ed esperto Onu per la pesca sostenibile, membro di Ocean Rights, spiega che “Le orate stanno aumentando, come i tonni e le aguglie. Il pesce spada diminuisce, forse a causa di un prelievo eccessivo. Si tratta di cicli naturali. C’è stato un momento di cui sono diminuite le acciughe, ma ora stanno tornando. Le stime si fanno incrociando modelli matematici. E dando un’occhiata ai prezzi sul mercato”.
Intanto, gli allevatori della cooperativa fremono: sentono di dover rimettere le cose a posto; fanno leva sulle collaborazioni in essere con Enea, Cnr e altri centri di ricerca per usare “sensori intelligenti di nuova generazione per studiare la popolazione ittica e poi intervenire in maniera mirata”. E, allo stesso tempo, chiedono l’opportunità di pescare per i prossimi 3 anni, tutti i giorni!
Certo, assieme al problema in sè, sono tanti gli aspetti del fenomeno, così come descritto dall’articolo di Repubblica assurto alle cronache nazionali, su cui si potrebbero (e si dovrebbero) fare delle serie considerazioni, magari supportate da conoscenze scientifiche ed evidenze empiriche. Per ora ci limitiamo a riportare testualmente quanto scritto nel pezzo:
“Nel frattempo, a modo loro ci pensano quelli che lo fanno per sport: qualche subacqueo e poi, dai moli del porto spezzino, i dilettanti armati di canna. Per legge non potrebbero recuperarne più di 5 chili, c’è chi ne ha fatto un secondo lavoro: sul mercato, le orate non d’allevamento si vendono a non meno di 25 euro il chilo. E nel golfo è così facile: basta gettare l’esca, che abboccano voraci”.
(Ph. Carlo Ravenna)