(di Gherardo Zei)
Spesso le cose risultano difficili da capire fino in fondo perché difetta la comunicazione tra le varie categorie di persone. Come pescatori sarà capitato anche a voi di parlare con qualche campione chiedendogli, ad esempio, cosa sia il grotto e come potervi pescare. La risposta che avete ricevuto sarà stata certamente di tipo squisitamente pratico: il grotto è quella roccia friabile e molto traforata, nella quale i pesci possono essere di quelle date specie e avere quel certo tipo di comportamento, e via continuando con consigli di pesca pescata. Se poi vi sarà capitato di chiedere chiarimenti sulla stessa materia ad un biologo marino oppure a un geologo, magari a margine di qualche convegno, sono certo che costui vi avrà dato una risposta di segno totalmente opposto e cioè completamente scientifica con linguaggio accademico, parlandovi della biocenosi, degli organismi bentonici calcarei sui substrati detritici e chiudendo con un fuoco di artificio di “echinodermidi”, “policheti” e “briozoi”, il tutto condito con un paio di citazioni in latino e greco (classico modo di rispondere per incutere soggezione nell’interlocutore e non farsi capire più di tanto).
Alla fine vi sarà rimasta in mente l’indiscutibile utilità dei consigli pratici del campione di pesca e la discutibile convinzione che il biologo marino sia un cervellone. Ma non avrete nemmeno cominciato a capire in modo chiaro cosa sia il grotto che, invece, a dispetto della sua oggettiva complessità, alla fin fine, come tutte le cose della natura, è un qualcosa di multiforme ma basato su concetti semplici e completamente logici e – quindi – non difficili da esporre, sempre che si abbia davvero davvero voglia di divulgarli.
La barriera corallina di casa nostra
Innanzi tutto stabiliamo bene di cosa stiamo parlando. Intendiamo riferirci a quel tipo di fondale che nel linguaggio comune dei pescatori viene chiamato quasi indifferentemente con i nomi di “grotto” o di “coralligeno”. Con una definizione molto grossolana ma estremamente efficace potremmo dire che il grotto non è altro che una specie di barriera corallina del nostro Mar Mediterraneo. Genericamente il fondale di Grotto o Coralligeno (in seguito per chiarezza pratica espositiva utilizzeremo i due vocaboli indifferentemente come se fossero sinonimi) viene classificato come un fondale roccioso ma la sua origine è totalmente diversa da quella degli altri fondali rocciosi perché il grotto è generato dalla stessa vita del mare. Per comprendere perfettamente la natura degli altri tipi di fondale roccioso vi basta soltanto immaginarvi il sostrato roccioso subacqueo come un mero proseguimento di quello che si trova sulla terra. Infatti, in funzione della quantità di ghiacci perenni presenti sulle terre emerse, il livello dei mari può essere più alto o più basso nelle varie epoche geologiche (ci sono state epoche in cui il livello dei mari era molto più alto e addirittura la Pianura Padana era allagata dal mare). Quindi la roccia naturale (creatasi con meccanismi che poco o nulla hanno a che fare con il mare) si può trovare indifferentemente sopra o sotto il livello dell’acqua ed è il puro frutto dell’evoluzione geologica del pianeta. Le eruzioni vulcaniche, le corrugazioni della crosta terrestre, le frane e tanti altri fenomeni determinano differenze di dimensioni e di forma delle rocce sia che le stesse si ritrovino sopra che sotto il livello del mare. Ma per il nostro grotto le cose stanno in modo del tutto differente. Il coralligeno, infatti, allo stesso modo della barriera corallina, è una formazione di natura minerale (e quindi in un certo senso rocciosa) ma che viene generata dalla vita stessa del mare, attraverso l’accumulazione di scheletri e residui di organismi sia di natura animale che vegetale che si sono stratificati nel corso di molte migliaia di anni. In pratica il Grotto è ciò che si può chiamare una bio-costruzione e cioè una struttura fisica calcarea creata attraverso un processo biologico. La sua crescita è molto lenta (meno di un millimetro all’anno) e quindi potete facilmente immaginarvi quanto tempo ci è voluto per costruire i grandi “panettoni di grotto” dell’altezza anche di cinque o sei metri che ogni tanto capita di vedere. Del resto un fenomeno molto impressionante che ho visto più volte verificarsi nel nostro antico ed affascinante mare del Lazio è quello dell’emergere di piccoli reperti archelogici che erano conservati dal grotto. Capita infatti che, dopo una mareggiata importante, nel bassofondo si trovi qualche bel panettone di grotto che si è spezzato o addirittura rotto a metà. Più volte, guardando dentro lo spacco del panettone, mi è capitato di scorgere che, all’interno, inglobato nella roccia, c’era un “coccio” di anfora romana. In pratica era evidentemente successo che quel pezzo di anfora rotta era stato semplicemente buttato in mare su un fondale sedimentario circa duemila anni prima. E poi, nel corso di due millenni, il grotto aveva iniziato, piano piano, a ricoprirlo, fino a crearci sopra un panettone di grotto di un metro e mezzo, il quale poi si era rotto con la mareggiata rivelando la sorpresa che c’era dentro. Un fenomeno davvero affascinante sia sotto l’aspetto biologico che storico.
La sua (grande) importanza
Non so se siete stati mai al celebre Acquario di Genova. Io ci sono stato parecchi anni fa e in una delle prime sale c’era un impressionate acquario con pesci di grande taglia. Un habitat artificiale davvero gigantesco e, ad una prima occhiata, veramente realistico. Mi ricordo due grandi ricciole, che volteggiavano puntando verso gli spettatori, facendomi stringere le mani sudate, quasi le mie dita febbrili fossero alla ricerca di un fucile subacqueo, con un riflesso condizionato da vecchio pescatore. Per un occhio umano quell’habitat sembrava una buona riproduzione del fondale ma, guardando meglio, c’era una cosa che mancava totalmente e cioè i microrganismi di flora e di fauna che invariabilmente colonizzano ogni ambiente sottomarino. Tutti i pesci presenti nella grande vasca sembravano accorgersene e apparivano molto stressati e spaventati; per loro era chiaro che si trattava di un ambiente artificiale e molto inquietante, cosa che invece era molto difficile da percepire per un essere umano e sfuggiva completamente al classico turista che di mare sa poco o nulla. Ogni ambiente sottomarino è caratterizzato da milioni di creature più o meno microscopiche appartenenti alla flora e alla fauna (e spesso non è nemmeno facile classificarle nella prima o nella seconda di queste due categorie) e che sono parte del ciclo della vita biologica, costituendo cibo o cibandosi di altre creature e, alla fine, lasciando i propri scheletri a formare una struttura composta di sostanze minerali e cioè proprio il nostro grotto o coralligeno (come preferite chiamarlo). Senza la presenza di queste creature il mare non è mare, ma soltanto una vasca per i pesci, sebbene di grandissime dimensioni. E per i pesci vivere in una vasca che simula il fondale è un po’ come sarebbe per noi esseri umani vivere nell’ambiente di cartapesta di un set cinematografico (è più che logico che siano sconcertati e spaventati).
Come dicevamo il grotto è la nostra barriera corallina e caratterizza grandissime porzioni di fondale in molte regioni italiane (Lazio, Puglia e Campania in testa) ma si trova, in misura maggiore o minore, quasi dappertutto. Scientificamente il grotto viene definito come Biocostruzione o costruzione Biogenica, intendendo che è una costruzione minerale che nasce e viene generata dalla vita sottomarina stessa. I cosiddetti “panettoni” di grotto (cosi come tutte le altre classiche formazioni di questa roccia vivente) derivano dalla massiccia deposizione e quindi stratificazione nel tempo di scheletri (generalmente di carbonato di calcio) da parte di animali e alghe di dimensioni molto piccole, i cui resti si accumulano dopo la morte degli organismi biologici che li hanno generati. Queste Biocostruzioni sono per lo più formate da molteplicità di organismi diversi (come si dice sono caratterizzate da grande biodiversità) e sappiamo bene che possono dare luogo a formazioni rocciose imponenti determinando, nell’ambiente che hanno colonizzato, caratteristiche morfologiche, biologiche e geologiche uniche.
In alcune biocostruzioni prevale la componente animale e in altre la componente vegetale, in rigorosa ottemperanza ad un delicato equilibrio della vita di questi organismi che deriva principalmente dalla temperatura e dalla quantità di luce presenti nel posto. Per tutte queste ragioni la profondità e la collocazione dei banchi di coralligeno è molto variabile, in dipendenza dalla temperatura e dalla trasparenza dell’acqua, raggiungendo anche i 130 m di profondità nel Mediterraneo orientale, ma può arrivare anche fino alla superficie in funzione di specifiche peculiarità del luogo. La prima caratteristica che serve perché un mare produca grotto è un fondale di tipo sedimentario (nato cioè dall’apporto di detriti e sedimenti), tipicamente quindi parliamo di un litorale in cui sono presenti numerosi sbocchi di corsi d’acqua dolce. Tuttavia questo fondale deve avere anche una velocità di sedimentazione moderata, in quanto, altrimenti, i sedimenti e i fanghi potrebbero insabbiare e distruggere le formazioni di grotto nascente. La temperatura dell’acqua deve essere abbastanza bassa e piuttosto costante. La luminosità deve essere moderata e, quindi, le formazioni tendono a nascere intorno ai venti metri di profondità in condizioni di acqua limpida, ma possono prosperare in acqua molto più bassa e addirittura vicino alla superficie in condizioni di acqua costantemente velata o torbida. Credo che ai buoni conoscitori dei nostri litorali ormai sarà chiarissimo come mai in Italia le formazioni di grotto più imponenti si trovino in Campania, in Puglia e nel Lazio. Chiaramente anche una torbidezza eccessiva può essere nociva dal lato opposto. Mentre una zona con movimenti di mare troppo violenti può danneggiare facilmente nel bassofondo una roccia tanto friabile e delicata come il coralligeno.
Un ambiente in pericolo
Nelle zone di fondale sedimentarie le biocostruzioni del grotto rivaleggiano con le praterie di posidonia e determinano uno degli habitat più ricchi di vita in assoluto. Nelle zone di coralligeno quello che si vede dalla superficie sono essenzialmente praterie di posidonia e rocce sottoforma di panettoni rotondeggianti o di orli e cigliate (formazioni classiche del coralligeno). Ma se scendiamo sul fondo ad analizzare meglio ci rendiamo conto che tutta la struttura ribolle letteralmente di vita: una vita brulicante che va molto oltre i pesci e gli organismi che appaiono più evidenti alla nostra capacità visiva dalla superficie. Infatti la posidonia che noi scorgiamo è quella viva e verde, ma al di sotto della stessa, possono esserci strati di radici morte (la cosiddetta “matta”) che arrivano all’altezza di molti metri i quali, al loro interno, sono stracolmi di vita microscopica, oltre a spaccarsi in tane e rifugi per i pesci. Se avete qualche dubbio al riguardo fatevi un viaggio nel Golfo di Follonica a vedere la più grande ed antica accumulazione di radici di posidonia che io abbia mai visto, dove si determinano vere e proprie tane e cigliate alte addirittura dei metri fatte di questo materiale fibroso (la “matta” per l’appunto). Stesso discorso per il coralligeno, composto di strati di metri di scheletri calcarei di animali e vegetali, che sono ricchissimi di vita e pieni di buchi e tane praticamente inespugnabili. Gli scheletri calcarei sono spesso più volte colonizzati da diverse specie microscopiche che a loro volta sono cibo per altre creature, in una catena alimentare complessa come in nessun altro luogo. Se si afferra un pezzo di grotto sporgente con la mano e lo si spezza vedremo che dentro ci sono vermi, molluschi, crostacei e vegetali vivi in grande quantità. Praticamente il grotto è una roccia vivente.
Chiarito questo aspetto, la delicatezza di questo ambiente, al pari di quello della barriera corallina, appare tanto evidente da non richiedere spiegazioni. Solo un complesso equilibrio tra le diverse specie e le condizioni a contorno, consente all’intera struttura di continuare ad accrescersi. E l’inquinamento può essere un fattore mortale che distrugge il sistema di un intero litorale in pochissimo tempo. Ritengo che nessuno possa confermarlo con certezza, ma io sono convinto che, in qualsiasi momento, un minimo cambiamento della temperatura media dell’acqua, ovvero della torbidezza, oppure della composizione chimica, possano dare luogo ad una reazione a catena distruttiva destinata a bloccare lo sviluppo o, peggio, a portare ad una rapida morte di tutti gli organismi costruttori del grotto. Poi, naturalmente, ci sono i potenziali danni dell’azione meccanica degli ancoraggi ovvero degli strascicanti. Premesso che gli strascicanti andrebbero vietati come metodo di pesca indipendentemente dai danni inferti al grotto, il “problema” degli ancoraggi mi sembra il classico depistaggio da parte dei soliti noti autori dei disastri ecologici da inquinamento. Depistaggio grazie al quale l’attenzione dell’opinione pubblica viene spostata da un problema gravissimo come quello di un inquinamento che può distruggere in poco tempo il coralligeno di un intero litorale ad un problema irrilevante come quello di un buco fatto da un ancora su una formazione di grotto.
Perché il grotto è un ambiente quasi ideale
Perché il grotto è un habitat quasi ideale per la vita sottomarina? A questo punto la risposta è intuitiva. Il grotto è una struttura rocciosa che genera tane praticamente imprendibili, dentro le quali brulica una vita animale e vegetale microscopica che può costituire un’eccellente riserva di cibo per i pesci che vi abitano. In pratica per i pesci stare nel grotto è come stare in una casa bellissima con una dispensa piena di cibo. Il pesce preferisce il grotto a qualsiasi altro genere di sostrato roccioso e questo un biologo marino dovrebbe saperlo. Tanti anni fa ho assistito personalmente ad una conferenza tenutasi a Civitavecchia nella quale erano ospiti alcuni professori di biologia marina. Mi ricordo come se fosse adesso che, al termine della relazione di uno di costoro, nello spazio riservato alle domande, un fortissimo campione di pesca in apnea locale prese la parola con riferimento agli affondamenti di nuove scogliere sommerse aventi la finalità di ripopolazione del pesce (attività sempre auspicata da noi pescatori subacquei e quasi mai effettuata dalle amministrazioni pubbliche territoriali). Al riguardo il nostro agonista osservava che, purtroppo, nella sua zona, in tanti anni erano stati effettuati solo due affondamenti di scogliere artificiali (nel caso di specie i classici tripodi) e che, oltretutto, malauguratamente, uno dei due era stato operato sopra una zona di grotto alto e, pertanto, la scogliera artificiale affondata era completamente vuota, perché il pesce aveva preferito restare in massa nel grotto sottostante. Il professore presente, cui era stata richiesta un’opinione su questo tema, aveva affermato che quanto accaduto era ovvio. Il pesce non avrebbe mai abbandonato il grotto in favore di una scogliera artificiale e certi affondamenti si devono realizzare esclusivamente in zone sabbiose o fangose non certo sul grotto alto. Sempre il professore aveva poi concluso, ridacchiando, che, tuttavia, lui non poteva dire niente in questo caso specifico, perché l’ubicazione dell’affondamento di quei tripodi sul grotto era stata decisa da un famoso professore, massimo esperto della materia (e dicendolo sorrideva con ironia, lasciando intendere che quel suo collega fosse in realtà uno che di mare sapeva poco). Ascoltando tutto il discorso pensai che se questa era la situazione delle università e degli istituti di ricerca scientifica noi pescatori eravamo completamente rovinati ed il mare insieme a noi.
Come pescarci
La pesca nel grotto è multiforme perché la conformazione del grotto ha una varietà quasi infinita. Si alternano tavolati compatti, zone di funghi e funghetti, grandi panettoni, cigliate, fossate e schiene d’asino attraversate da canaloni, spacchi e camini. Il grotto rappresenta uno dei fondali più graditi al pesce bianco: specialmente saraghi e corvine. Ma nel coralligeno vivono anche cernie di mole a profondità relativamente esigue (quindici/diciotto metri). Nelle più tipiche formazioni di grotto (come cigliate, panettoni e fossate) gli spacchi possono essere profondissimi e un pesce che entra da una parte non si può mai sapere di sicuro da quale parte risbucherà fuori, dopo avere attraversato un dedalo di cunicoli sotterranei. A settembre i cameroni più grandi nei panettoni di grotto possono essere infestati da cefali di grande taglia.
I segreti dell’aspetto
Oltre ai saraghi, alle cernie e alle corvine, da insidiare prevalentemente in tana, non mancano nel grotto anche dentici, orate, cefali, ricciole e lecce. Nel grotto la pesca al dentice può essere praticata anche su batimetriche normali intorno ai cinque/dieci metri. Questi grandi predoni prediligono tenersi nei pressi delle cigliate e si avvicinano al sub, nascosto sotto ad un ciglio o dentro una fossata, percorrendo in orizzontale le zone di tavolato. Ed è li che bisogna aspettarli, sempre tenendo, naturalmente, d’occhio la mangianza che segnala l’imminenza e la direzione dell’arrivo del predatore. Spesso non è agevole nel grotto trovare nascondigli per la pesca all’aspetto. All’uopo bisogna sfruttare al meglio le fossate con la base di sabbia in cui il sub si trova ad essere nascosto da tutti i lati. In una fossata abbastanza profonda i cefali ci arriveranno sopra senza rendersi conto di niente e perfino gli smaliziatissimi saraghi (ormai pelagici affetti da nomadismo) che nuotano nella fascia alta ci transiteranno sopra consentendoci qualche volta un tiro. I fondali di grotto sono spesso digradanti con gradualità e privi di un chiaro riferimento venatorio (come un sommo, una punta o una franata); quindi il pesce potrebbe arrivare da tutte le direzioni. Per questo bisogna avere molto fiuto e capacità di leggere il fondale e la mangianza per trovare la direzione ottimale di appostamento.
La ricerca in tana
Esistono dei veri e propri “maghi” della pesca in tana nel grotto e molti di loro vivono nel Lazio. Grandi tanaioli come Fabio Antonini e Enrico Volpicelli sono in condizioni di “inventare” i saraghi su tavolati di grotto che sembrano deserti, estraendo saraghi da chilo da spacchetti ridicoli in cui, a occhio, ci poteva stare al massimo una perchia. E’ una pesca che si effettua con le pinne in alto e la testa a contatto con il terreno e richiede un colpo d’occhio quasi disumano. Lo specialista vi racconterà che bisogna stare attenti ai ricci rotti, alla presenza di piccoli saraghi, alla sabbia sul fondo delle tane, alle entrate nascoste dalla posidonia, al colore delle alghe e a tante altre cose. Ma tra ascoltare questo genere di consigli e riuscire a metterli in pratica c’è una grossa differenza.
Nel grotto le tane che offrono riparo al pesce sono costituite per lo più da fessure e fori verticali, in cui bisogna affacciarsi dall’alto con testa e fucile contemporaneamente, tenendo il fucile leggermente arretrato e pronto al tiro. Ci sono zone con tane complicatissime in cui una volta visto sparire il pesce c’è tanto da ragionare per capire dove potrebbe sbucare. Se qualche volta capita ancora di incrociare la pallonata di saraghi o il volo di corvine, sarà probabile che tutto il branco sparisca rapidamente in un cunicolo imprendibile al quale ci affacceremo con fiducia solo le prime volte in cui ci capita questa situazione, per poi convincerci rapidamente che nel grotto è quasi inutile inseguire branchi di pesci del genere mettendo la testa nello stesso buco in cui hanno cercato riparo. Proprio questa complessità della pesca in tana nel grotto è probabilmente (insieme alla frequente torbidezza dell’acqua) la ragione per cui in posti simili si trova ancora più pesce che da tante altre parti teoricamente più interessanti e paesaggisticamente più belle. Senza dimenticare la considerazione per la quale il grotto si difende bene anche dalle offese della pesca industriale di distruzione di massa. Ciò perché il grotto è una roccia particolarmente lavorata e piena di spuntoni, ragione per la quale costituisce un probabile impiglio per quasi ogni genere di rete e in particolare per tutti gli strascicanti.
Il grotto in pillole
I pesci che vivono nel grotto
Considerata la ricchezza alimentare disponibile, nel grotto vivono quasi tutte le specie stanziali: corvine, saraghi, mostelle, tordi, cernie, scorfani, gronghi, murene, polpi, seppie e anche crostacei come astici e aragoste.
I pesci che vivono sul grotto
Sopra le distese di grotto si assommano pallonate di mangianza di piccola taglia e poi di grandi pesci razzolatori come salpe o cefali. Di seguito arrivano le orate a nutrirsi dei molti frutti di mare presenti e, infine, i predatori come ricciole, lecce, spigole, dentici, barracuda e serra.
Le condizioni del mare
Per la pesca in tana serve acqua calma e limpida. Mentre se il mare è mosso bisogna necessariamente pescare all’aspetto.
La stagione migliore
Nel grotto si pesca in tutte le stagioni ma in modo diverso. D’inverno sono poche le giornate con acqua calma e limpida e si privilegia la pesca all’agguato e all’aspetto nel bassofondo. Mentre d’estate si possono esplorare le cigliate più fonde.
Le tecniche da usare
In particolare nel nostro Lazio sono famosi (come accennavo prima) i grandi tanaioli che con un fucile corto e la fiocina fanno la “Singer” (cioè salgono e scendono dal fondo con la frequenza e la rapidità di una macchina da cucire), alla ricerca di saragoni scovati buchetto per buchetto. Sono pesci impossibili da vedere dall’alto e quindi la faccia del pescatore deve restare costantemente incollata alle rocce. Anche l’aspetto è molto praticato, specialmente con acqua torbida durante le alzate e le scadute. Mentre l’agguato è veramente difficile da esercitare perché il grotto, in generale, non ha sbalzi e varietà di massi e nascondigli tali da poter occultare nel migliore dei modi un sub in avanzamento silenzioso. Nella maggior parte della sua estensione il grotto è formato da roccia bassa con radi panettoni e cigli.
L’attrezzatura
L’attrezzatura per pescare nel grotto non è diversa da quella necessaria per pescare sugli altri tipi di fondale. Dipende dalla giornata e dal tipo di pesca che si vuole praticare. Chiaro che, essendo la visibilità mediamente inferiore, avremo fucili mediamente più corti. Trattandosi poi di una pesca raramente profonda si useranno soprattutto mute mimetiche e le pinne potrebbero essere anche dei modelli “da battaglia”. Ma, infine, è una questione di gusti e il grotto, in fondo, dal punto di vista dell’attrezzatura, è un fondale come un altro.
Altezza delle formazioni di grotto
I panettoni, le spianate o cigli di grotto si possono alzare dal fondo di pochi centimetri o di qualche metro. Nel mio Lazio Abbiamo panettoni fino a circa quattro metri. Ma in giro per l’Italia se ne incontrano fino a otto/dieci metri di altezza. I più alti visti da me personalmente sono in Abruzzo e a occhio misurano circa sei metri.
Profondità
Leggendo i libri di biologia marina vediamo che il grotto può trovarsi fino ad oltre cento metri. Ma di solito c’è anche scritto che comincia non prima dei venti metri circa. Noi sappiamo bene che invece spesso si trova addirittura sul bagnasciuga.
Le zone più famose
Forse il Lazio e la Puglia sono le regioni più famose per le loro grandi estensioni di grotto. Anche la Campania ha belle zone di grotto e io ci aggiungerei anche l’Abruzzo dove conosco posti con formazioni imponenti. Da non dimenticare la zona di Trapani in Sicilia