Dal 7 al 10 di settembre le nazionali maschile e femminile saranno impegnate nel difficile oceano cantabrico, in Spagna. Il nostro Dt parla di come si stanno preparando e non si sottrae anche a qualche domanda “scomoda” sulle polemiche riguardanti l’esasperazione della ricerca della profondità tra gli uomini e l’abbondano delle 3 titolari tra le donne di Gherardo Zei
I prossimi Campionati del mondo di pesca si svolgeranno a Laredo (Cantabria), in Spagna, dal 7 al 10 Settembre. Sul sito della Fipsas è stata resa nota la composizione, decisa dal Dt Marco Bardi, delle squadre che rappresenteranno l’Italia, che sarà composta dal Capo Delegazione, Alessandro Congedo, dal Dt Marco Bardi e dai seguenti atleti: Giacomo De Mola, Luigi Puretti e Nicola Strambelli. Titolari; riserva, Rocco Cuccaro, assistenti, Alfonso Cubicciotto, Andrea Giuseppe Fazzolari, Giuseppe Gentilino, Valerio Losito e Roberto Poggioli. Tra le donne, Cinzia Cara, Emanuela De Lullo e Federica Randazzo, titolari.
Il sintetico comunicato della fedrazione si limita ad affermare che la selezione è avvenuta con anticipo per consentire a tutti i convocati di prepararsi adeguatamente e conclude dicendo che la Nazionale maschile è identica a quella che lo scorso anno ha preso parte al Campionato Euro-Africano di Bizerte, mentre quella femminile, complice la scelta delle titolari uscenti di prendersi una pausa per subentrati motivi personali, è cambiata pressoché completamente.
Ci è allora venuta allora la curiosità di saperne qualcosa di più e per questo abbiamo chiesto a Bardi di incontrarci per una chiacchierata.
Marco, quali sono i tuoi auspici e le tue previsioni per questo Mondiale, anche in considerazione delle aspettative che ci sono visto che Italia detiene i titoli individuali con De Mola e a squadre?
«Inutile girarci intorno. Sappiamo benissimo che noi italiani in oceano non abbiamo mai fatto grandi risultati. Come nazionale, al massimo un terzo posto, se non vado errato. Purtroppo, l’oceano non lo sappiamo decifrare bene. E’ un mare davvero complesso. Magari si va con tre forti nella schiuma e invece, poi, in gara si pesca in tana e, talvolta, viceversa».
Ma abbiamo avuto il caso di Bellani che stava per vincere in Brasile e poi ha effettivamente vinto in Cile…
«A parte la forza indiscussa di Bellani, bisogna dire che in trenta gare c’è sempre l’eccezione. Noi non sappiamo decifrare bene l’oceano, ma se capita il giorno giusto in cui lo sai leggere diventi competitivo. Se parli con Bellani te lo conferma. In Cile in quel determinato momento si è pescato in modo tradizionale – data la situazione specifica – e quindi lui, da campione di razza, è riuscito a esprimersi al meglio. Quando è andata male c’è sempre stato il problema di impostazione sulla “lettura” di un mare che ci risulta ostico. Per questo ho pensato di portare un gruppo rodato di atleti completi, con potenzialità tecniche in tutti i tipi di pesca, in maniera da risultare flessibili a seconda delle situazioni. E, soprattutto, ho cercato di fare una squadra che “si parlasse”, e cioè composta da agonisti con la capacità di comunicare tra loro con armonia. Questo è stato spesso un nostro punto debole in oceano, la mancanza di “gioco di squadra”. Bisogna tentare perché se si parte facendo le stesse cose di sempre, si ottengono sempre gli stessi risultati. Ma parlarsi è la cosa più importante. Ad esempio, nel 2018 in Portogallo c’erano atleti adatti a una tecnica di ritmo in basso fondale, che in effetti è stata quella decisiva, eppure il risultato è stato insoddisfacente. Anche in quel caso il problema era nato dal fatto che non ci si confrontò a sufficienza. Quindi, non ho voluto interrompere il percorso già attivato nella scelta degli atleti. Guarda Strambelli. Sono sei anni che viene con noi. Sono sei anni che parla e matura esperienza con gli altri due, che sono i suoi compagni. Se guardiamo solo il risultato dell’Assoluto potremmo dire: “perché lui e non un altro?”. Ma le squadre si formano cercando equilibrio tra tutti i vari elementi. Del resto, sono stato chiamato in questo ruolo per risollevare una nazionale che era depressa e il mio lavoro è stato quello di trovare le persone giuste anche a livello caratteriale. Credo di poter dire che adesso abbiamo tanti atleti riconosciuti da tutto il mondo come competitivi, mentre anni fa sembrava non ne avessimo».
A quali profondità si vincerà questo mondiale?
«Dalle precedenti gare disputatesi sul posto risulta che a volte si è vinto abbastanza profondo, a volte nella schiuma e a volte nel medio fondale. E’ una zona indecifrabile da questo punto di vista e bisogna essere pronti a tutto e avere atleti che sappiano esprimersi a tutte le profondità».
E cosa mi dici delle polemiche sulle quote operative fatte da alcuni?
«Ci sono polemiche sulla profondità da parte di alcuni atleti che non si sentono più competitivi, nel senso che non sono capaci di pescare a certe profondità e si lamentano perché vedono tutto troppo estremo. Sotto certi punti di vista hanno pure ragione. Ma quando siamo partiti nel 2016, in Grecia, in un mondiale nell’abisso, tutti si lamentavano perché non avevamo i profondisti e non potevamo competere. Oggi ci lamentiamo invece perché anche in Italia si è scelta quella strada. Come ripeto, sul piano dei principi capisco le motivazioni, e tuttavia, visto che le cose vanno in quella direzione in tutto il mondo e i regolamenti internazionali lo consentono, se noi non ci prepariamo per la grande profondità rimaniamo esclusi. Nel 2001, quando ci stilammo delle regole dell’agonismo solo per noi, rimanemmo ai margini delle classifiche perché non avevamo atleti allenati a operare con quelle regole, che esistono in Mondiali ed Europei».
Ma i pericoli?
«Nessuno mette la testa sotto la sabbia. I pericoli ci sono da sempre nel nostro sport. Comunque, in nazionale prestiamo molta attenzione alla sicurezza, abbiamo inserito il riscaldamento e obbligato i barcaioli a far rispettare precise tabelle con i tempi di recupero prestabiliti. E non ci sono stati incidenti. Se dovesse succederne uno, ci sarebbero certamente recriminazioni. Ma mi sembra giusto ricordare che gli imprevisti in gara accadono anche in 15 o 20 metri di fondo, o anche meno addirittura. A mio avviso, se uno è preparato il pericolo è basso. Credo che sia più difficile che si faccia male un atleta preparato che pesca a 40 metri piuttosto che uno impreparato che va a 20 metri. Poi, sta anche a me portare chi è effettivamente in grado di lavorare a certe quote rischiando il meno possibile. Bisogna vederli giorno per giorno per capire che ci sono alcuni che pescano a determinate profondità e ottengono anche dei risultati, ma magari rischiano troppo a ogni tuffo. Questo tipo di atleti non posso convocarli perché me lo impone la mia coscienza».
Parliamo del motivo per cui la nazionale femminile è cambiata interamente…
«Non è stato frutto di scelte tecniche. E’ stata una decisione delle dirette interessate. Hanno deciso di chiudere con l’agonismo, almeno per quest’anno. Lo hanno comunicato insieme e non potuto fare altro che cercare di convincerle a cambiare idea, però non ci sono riuscito. Hanno le loro giuste e rispettabili motivazioni, ma noi dobbiamo andare avanti. Quindi c’è da ripartire».
Ti hanno dato qualche motivazione?
«Ognuna ha le sue motivazioni personali: il lavoro, la famiglia e altro. Non mi sembra giusto parlare dei problemi altrui, quindi preferisco fermarmi qui. Insomma, ho avuto la notizia ai primi di febbraio, gli ho dato tempo per rifletterci, ci siamo sentiti più volte, ma non ci si può fare niente. Credo che se tre atleti dicono che vogliono smettere, che almeno per quest’anno hanno chiuso con l’agonismo, io da Direttore tecnico non ho altra scelta: devo prendere tre persone che hanno poca esperienza, ma sulle quali puoi lavorare, piuttosto che insistere a convincere chi, in teoria, avrebbe avuto la certezza di disputare un mondiale, però rinuncia».
E cosa ci racconti delle tre titolari?
«La De Lullo ha esperienza, ha infatti preso parte all’Europeo come riserva. E all’Assoluto si è comportata bene. Ha tanta grinta e ce la mette tutta. Ci sono le basi e potrebbe anche fare il colpaccio. Cinzia Cara ha disputato un Assoluto due anni fa. Ha saltato l’anno scorso, ma adesso tornerà e anche lei un po’ di esperienza ce l’ha. La più inesperta è Federica Randazzo, però è giovane, ha tutto l’entusiasmo che serve e quindi avevo già deciso di inserirla nel Club azzurro prima ancora di avere la certezza dell’abbandono delle altre. È vero che le donne è più facile che abbiano alti e bassi, ma è anche vero che un uomo quando parte lascia a casa una situazione più semplice, mentre per una donna è tutto più complicato».
I campi femminili e maschili saranno separati?
«Per la Cmas la cosa era da discutere, a oggi però non sappiamo quale sia l’esito. Ho espresso alla Cmas e alla nostra Federazione il mio parere, ovvero che i campi di gara sarebbe meglio separarli. Ho suggerito che quelli femminili siano piccoli e posti all’interno del campo maschile, quindi più facili da controllare. Infatti, se si trovano al centro del campo maschile l’assistenza è la stessa e con la medesima organizzazione si riesce a seguire entrambi. Secondo me i campi separati per le donne comportano i seguenti vantaggi: non hanno il problema di scontrarsi con i maschi sullo stesso pesce; non c’è il rischio che avendo due pesi minimi differenti possano “raccattare” in giro qualche preda scartata dai maschi; non c’è il rischio di ricevere aiuto da parte di un uomo. Insomma, si eliminano tante problematiche e le ragazze sono più serene. Comunque, aspettiamo le decisioni di Cmas e federazione».
Grazie Marco, vuoi dirci ancora qualcosa?
«Sì, solo una precisazione. Ogni volta che c’è una competizione nasce sempre qualche polemica e contestazione. È brutto anche se, forse, è impossibile da evitare. Io non mi lascio coinvolgere, ma la mia volontà sarebbe sempre quella di spiegare il perché dei problemi e delle decisioni ed evitare, almeno una parte, di queste polemiche. Ne sono convinto. Purtroppo, questo non può accadere, sia perché si andrebbe a parlare di cose private sia per il fatto che non è sempre possibile sviscerare i problemi all’esterno, perchè molti poi non capirebbero. Il tifoso guarda solo la vittoria e crede che le risorse siano infinite per fare qualsiasi cosa pur di vincere, ma il tecnico, purtroppo, deve anche agire con le forze economiche, politiche e strategiche sia per l’anno in corso che per quelli futuri. Però dovete crederci: dietro le scelte ci sono sempre delle motivazioni oneste e trasparenti. Noi abbiamo bisogno dell’appoggio e dell’entusiasmo dei tifosi e per questo motivo sarebbe bello poter fornire qualche spiegazione in più, in modo che ci sia più fiducia e più sostegno per i nostri ragazzi. Purtroppo, spiegare tutto a tutti è impossibile e le polemiche continueranno, ma spero che quello che ti sto dicendo dimostri la passione e la buona fede che ci mettiamo noi del team. Concludo dicendo che per me, personalmente, non un problema, sono stato consapevole fin dall’inizio che qualunque azione sarebbe stata fraintesa sia dai tifosi che dagli atleti; è un lavoro molto complicato e sarei bugiardo se dicessi che non lo sapevo. Ciò che mi interessa di più e ritrovare il sostegno del pubblico perché se ci mettiamo nei panni di un atleta che fa sacrifici enormi e poi vede o sente solo critiche. è chiaro che le motivazioni gli finiscono sotto ai piedi. Poi, ci mettiamo purtroppo l’invidia di chi mette benzina sul fuoco perché fa comodo al suo egoismo e quindi trasformiamo un piccolo ambiente come il nostro in una sorta di autodistruzione. Vorrei che questa tendenza cambiasse, magari avendo con più fiducia, meno critiche inutili o false, più serenità. Credo fortemente che i cambiamenti in positivo si ottengono solo se siamo tutti uniti e riusciamo a capire, parlare, andare d’accordo, dal più distratto tifoso al più forte atleta».