Senza Categoria
Nuotando sulle verdi praterie…
La posidonia è una presenza costante lungo la maggior parte delle nostre coste e, fin da bambini, ci siamo abituati a frequentarla e a conoscere empiricamente come i pesci interagiscono con la grande prateria verde. Abbiamo imparato che la posidonia è un elemento importante per la salute del mare e che non è facile pescarci. Capita di ascoltare colleghi agonisti che dicono: “siamo capitati sull’alga e non abbiamo visto più un pesce”. Si dice così comunemente anche se – tecnicamente parlando – la posidonia non è nemmeno un’alga. Ma, alla fine, le classificazioni dei libri di biologia marina ci interessano fino ad un certo punto. Noi non dobbiamo sostenere un esame davanti ad una commissione di parrucconi che spesso valutano uno studente per il numero di parole difficili che è riuscito a mandare a memoria. Quello che conta per noi è capire e conoscere le creature del mare frequentandole dal vivo, allo stesso modo in cui conosciamo il nostro quartiere o i nostri amici.
Un po’ di storia
Secondo le teorie più accreditate, la posidonia ha avuto origine dalla terraferma a partire da quando, duecento milioni di anni fa, era una pianta terrestre che viveva in zone umide adiacenti al mare. Nel corso di milioni di anni successivi l’antica posidonia sviluppò varietà che erano grado di sopportare periodi di immersione e di vita sotto la superficie dell’acqua, mano a mano, sempre più lunghi. Finché si sviluppò una varietà capace di un sistema di accrescimento e di impollinazione subacqueo. A quel punto la posidonia abbandonò definitivamente la terraferma in favore del fondo del mare. Parliamo di circa centoventi milioni di fa nel Cretaceo, periodo a cui risalgono i primi fossili di posidonia da noi conosciuti. E fa una certa impressione pensare che in quel periodo preistorico la nostra posidonia divideva il pianeta con i grandi dinosauri mentre oggi la troviamo ancora con noi nel nostro mondo moderno. Ma l’evoluzione non si ferma e in tanti milioni di anni anche la posidonia non è rimasta del tutto uguale a se stessa, sviluppando, via via, ceppi più resistenti alla salinità fino a quelli attuali che possono sopportare anche valori di salinità superiori al quaranta per cento (come nel famoso “stagnone di Marsala”), mentre sono quasi scomparse le varietà di posidonia capaci di vivere in condizioni di acqua poco salata e, infatti, la posidonia è praticamente assente presso le foci dei corsi d’acqua dolce.
Come è fatta e dove si trova
La Posidonia Oceanica non è un’alga ma una pianta acquatica del Mediterraneo, appartenente alla famiglia delle Posidoniacee. Ha caratteristiche simili alle piante terrestri con radici, un fusto rizomatoso e foglie nastriformi lunghe fino ad un metro e unite in ciuffi di sei o sette. Fiorisce in primavera e in autunno, producendo frutti galleggianti comunemente chiamati “olive di mare”. La posidonia si sviluppa con i suoi rizomi in senso verticale, evitando di restare sepolta dalla sedimentazione, ma anche in senso orizzontale espandendosi in tutte le direzioni e le sue radici lignificate, e lunghe fino a 15 cm, ancorano la pianta al substrato del fondale. Questo tipo di sviluppo da luogo alla cosiddetta “matte” (o “matta”), una formazione a terrazzo costituita dall’intreccio dei fusti delle piante (i rizomi), dalle radici e dal sedimento intrappolato (La matta ha un ritmo di crescita molto lento, stimato in circa 1 m al secolo). In questo modo la posidonia riesce a colonizzare un sostrato detritico molto instabile e non utilizzabile dalle alghe che non hanno radici. La posidonia occupa un’area intorno al 3% dell’intero bacino del Mediterraneo (corrispondente ad una superficie di circa 38.000 km2). E non bisogna dimenticare che, grazie al suo sviluppo fogliare, libera nell’ambiente fino a 20 litri di ossigeno al giorno per ogni m2 di prateria. Un segnale inequivocabile dell’esistenza di una prateria di posidonia è la presenza su una spiaggia di masse di foglie in decomposizione (dette Banquette). Per quanto possano essere fastidiose per i turisti, anche a causa del loro odore forte, esse proteggono le spiagge dall’erosione. Sulle spiagge si trovano inoltre, e soprattutto in inverno, delle “palle” marroni formate da fibre di posidonia aggregate dal moto ondoso. Nel tardo autunno e nell’inverno le piante di posidonia perdono le foglie adulte più esterne, che diventano di colore bruno e cadono, mentre in primavera la posidonia riprende il suo sviluppo con rinnovato rigoglio. La posidonia vive tra 1 e 30 metri di profondità e più a fondo solo in casi di visibilità eccezionale e sopporta temperature comprese fra i 10 e i 28 gradi. Colonizza i fondali sabbiosi o detritici ai quali aderisce e sui quali forma vaste praterie, o posidonieti, ad elevata densità (oltre 700 piante per metro quadrato).
Nelle aree di mare riparate, le matte, favorite dalla elevata sedimentazione, possono alzarsi fino a quando le foglie non raggiungono la superficie dell’acqua. Si crea in questo modo una barriera detta recif barriere. Tra la barriera e il litorale si può formare addirittura una laguna. Inutile dire che, laddove è presente, la recif barriere ha un ruolo importantissimo nella protezione della linea costiera dall’erosione.
Come si riproduce
La posidonia si riproduce sia sessualmente sia asessualmente per stolonizzazione. La riproduzione sessuale avviene mediante la produzione di fiori e frutti. La fioritura è regolata da fattori ambientali (luce e temperatura) e da fattori endogeni (età e dimensione della pianta) e avviene in settembre/ottobre o più tardi nelle praterie più profonde. Una volta maturi, i frutti, leggermente carnosi e chiamati volgarmente “oliva di mare”, si staccano e galleggiano in superficie. Quando l’oliva marcisce viene liberato un seme che cade sul fondo e, se trova le adatte condizioni di profondità, stabilità e tipo di sedimento, germina e dà origine ad una nuova pianta. Affinché la piantina possa attecchire è necessario che trovi un substrato fertile di precedenti detriti vegetali. Con questo genere di riproduzione sessuata la pianta colonizza nuove aree e diffonde le praterie in altre zone. La stolonizzazione, invece, permette l’espansione delle praterie mediante l’accrescimento dei rizomi (e cioè dei fusti della pianta) che sviluppano in orizzontale (alla velocità di circa sette centimetri all’anno) e colonizzano nuovi spazi. In questo modo la singola pianta si espande orizzontalmente, diventando sempre più grande.
Chi ci vive
Un abitante poco visibile delle praterie di posidonia è il mollusco bivalve Pinna Nobilis, più comunemente conosciuto con il nome di Nacchera. Tanto per fare un esempio, di Nacchere ce ne sono di enormi all’Isola del Giglio nella prateria di posidonia posta davanti alla spiaggia dell’Arenella, a nord del Giglio Porto. La Salpa è forse l’unico pesce che riesce a mangiare direttamente la posidonia, brucandola letteralmente come se fosse l’erba di un pascolo. Caratteristica è la foglia di posidonia già brucata dalla salpa che la lascia ridotta ad un mozzicone con sopra ben visibili i morsi, sottoforma di segni a semicerchio che riproducono esattamente la forma della mascella di questo tenace pesce. Per quanto riguarda gli altri pesci a noi conosciuti, tra gli abitatori stanziali della posidonia dobbiamo enumerare i tordi, le donzelle e i saraghi sparaglioni, oltre naturalmente ai ricci e a tutta una serie di varietà di molluschi. Il sostrato detritico, costituito dalla “lettiera” formata dai resti delle foglie cadute, viene colonizzato da microorganismi e funghi. Anche le foglie morte e spiaggiate (la cosiddetta banquette), servono da rifugio e nutrimento a insetti, anfipodi e isopodi, ospitando una loro caratteristica comunità di organismi viventi.
Pur non abitando costantemente la posidonia, tra i frequentatori abituali possiamo enumerare essenzialmente le corvine, le spigole e in particolari condizioni i saraghi, le orate e perfino i dentici.
La sua regressione
La Caulerpa taxifolia detta anche alga killer è un’alga tropicale che, in alcune zone del Mediterraneo, sta attaccando fortemente la nostra posidonia indigena.
Altre cause della regressione sono da ricercarsi nell’inquinamento (la posidonia è molto sensibile agli agenti inquinanti), nella pesca a strascico, nella costruzione delle opere costiere e in tutti quegli scarichi e lavori che, pur non essendo specificatamente, inquinanti aumentano la torbidezza dell’acqua. Poi, come molti sostengono, un po’ di posidonia viene sicuramente distrutta anche dagli ancoraggi dei diportisti. Ma quando si deve fare qualcosa per calmare l’opinione pubblica si punta sempre su questo ultimo punto, dimenticando che, di tutti gli altri, è di gran lunga il meno importante.
Qualche curiosità
In passato le foglie erano utilizzate come isolante nella costruzione dei tetti, come lettiera o come foraggio per il bestiame (in alcune zone ancora oggi) o per imballare materiali fragili. Per questo suo ultimo utilizzo la posidonia era infatti anche chiamata “alga dei vetrai“. In farmacologia le foglie erano usate per curare infiammazioni e irritazioni. Sono in corso studi per usare la posidonia quale concime in orticultura e per la produzione di biogas.
Forse una pianta di posidonia è l’organismo più grande del mondo! Uno studio condotto nel 2006 alle Baleari avrebbe individuato una pianta di posidonia lunga circa 8 km e che avrebbe un’età di 100.000 anni. La pianta si trova all’interno di una prateria che si estende per 700 Km² dalla zona di Es Freus (Formentera) fino alla spiaggia di Las Salinas (Ibiza). L’identificazione della pianta è stata resa possibile solo grazie all’uso di un’indagine genetica, risultando impossibile altrimenti discriminarla all’interno di una prateria immensa, dentro la quale si stima che possano vivere cento milioni di esemplari di piante di posidonia differenti. Se quanto affermato dagli studiosi è vero questa pianta è probabilmente l’organismo vivente più grande, più longevo e antico del mondo.
Il sarago
Il sarago maggiore non vive propriamente nella posidonia verde, ma può trovare in essa un rifugio complementare molto efficace. Inoltre il sarago non disdegna ogni tipo di spacco o di rifugio di qualsiasi materiale sia fatto. Pertanto il sarago popola tane di granito allo stesso modo in cui può vivere in tane di grotto ovvero di radice di posidonia “matta”. Sappiamo che il golfo di Follonica, dove purtroppo nella parte a terra la prateria di posidonia è morta da tempo, ci sono ancora grandi branchi di saraghi che trovano rifugio nelle tane della radice che in quel golfo (che aveva una prateria millenaria) è alta anche molti metri e che, laddove frana, crea ingressi nel dedalo di buchi sottostanti i quali vengono utilizzati dai saraghi che si nascondono in quella radice esattamente come fanno tra i funghetti di grotto. In quei luoghi i saraghi si possono insidiare pescando all’agguato tra le tane scavate nella radice. Inoltre, spesso, sotto la posidonia ci sono pezzi di grotto, che infatti è una roccia sedimentaria che nasce su un sostrato molto simile a quello utile per far prosperare le praterie di posidonia. Nelle tane di grotto o sotto le lastre che si trovano nascoste sotto le praterie di posidonia si possono trovare pallonate di saraghi leggendarie. Tutta la difficoltà sta a localizzare nella prateria apparentemente uniforme i punti dove si crea la tana alla base del tappeto verde di piante. Inoltre, in molti posidonieti, convivono altre tipologia di fondale assai gradite al sarago (e anche al tordo e alla corvina) quali fossate di sabbia e canali di fango o di ciottoli con piccoli bordi di coralligeno e improvvisi isolati massoni. Vedere pesce dall’alto quando si scorgono questo genere di interruzioni nel manto verde è abbastanza consueto, ritrovarli quando si scende fucile alla mano è tutta un’altra cosa.
Le tane dei saraghi nella radice di posidonia possono essere molto ricche. Ma vi raccomando di prestare particolare attenzione quando si tratta di sparare un’asta taitiana in pieno nella radice di posidonia compatta. Non esiste, infatti, una struttura più resistente ed elastica e mettere un mezzo metro d’asta piantato nella “matta” significa avere fatto la “spada nella roccia” e per recuperare l’asta ci vorrebbe solo “Re Riccardo cuor di leone”.
La corvina
Quando il grotto è immerso nella posidonia quello è il posto giusto dove si può trovare la tana madre di corvine. Non bisogna farsi ingannare dalla tranquillità del classico volo, i pesci avranno molte chances di evitare la nostra insidia sia nelle camere più nascoste della tana di grotto e sia lasciandosi cadere nella posidonia, dove potranno rimanere nascoste nei punti più folti ovvero scivolare non viste verso la salvezza. Nella posidonia la corvina è quasi impossibile da vedere e c’è da farsi venire solo la nausea da mal di mare a cercare di fissare ipnoticamente gli steli ondeggianti, sperando di intravedere perlomeno il labbrone bianco. Solo d’inverno, quando la posidonia è più rada, può capitare che la corvina faccia male i suoi calcoli e risulti visibile. Altrimenti l’unica soluzione possibile è quella di tentare un aspetto lungo (molto lungo) appena fuori dalla prateria e puntare sull’innata curiosità che può a volte spingere i pesci ad uscire prudentemente dai rifugi quel tanto che basta per tentare una fucilata. Ma fate sempre attenzione al classico scatto della corvina. Più volte ho padellato pesci apparentemente facili che mi stavano guardando con la testa che sbucava appena dalla prateria di posidonia.
La spigola e l’orata
Le grandi spigole nascoste nella posidonia di folte praterie, situate in baie tranquille, possono sempre esserci. Dalle nostre parti tanti anni fa c’erano posti (uno alla Frasca in una zona di posidonia situata in una rada piena di corpi morti di piccoli gozzi) dove un incontro del genere era sempre possibile. Poi, con gli anni, i posti sono diventati troppo conosciuti e il fenomeno è divenuto sempre più raro, ma ogni tanto può capitare. A parte questo un aspetto nascosti nella posidonia può sempre portare all’arrivo di spigole, ma anche di cefali e, dalle nostre parti, anche di saragoni che – ormai – sono diventati una sorta di pesci pelagici che nuotano in branchi mobili che restano alti un paio di metri sotto la superficie. Non è una tecnica classica quella dell’aspetto affondati nella posidonia ma qualche tentativo vale la pena di farlo. Per quanto riguarda le orate, esse non sono in linea di massima abitatrici della posidonia, a parte vivere sotto qualche lastra con il fondo di sabbia o di fango e con la parte superiore colonizzata dalla posidonia. Ma, come per la spigola, l’orata che arriva all’aspetto nuotando un metro sopra gli steli della prateria ci può sempre scappare. Poi, a me in particolare, è capitato alla fine degli anni novanta di prendere una gallinella (che noi chiamiamo coccio) di tre chili a cui ho sparato in caduta mentre si trovava appoggiata sopra una prateria di posidonia. Mi ricordo che aveva quelle specie di grandi ali blu aperte e sembrava quasi che poggiassero sopra gli steli ondeggianti come se questi ultimi fossero una superficie solida. Uno spettacolo molto bello e un pesce molto buono; ma credo onestamente che sia stato un caso quasi unico.
Il tordo
Il tordo ci vive nella posidonia o nelle piccole tane di grotto ai margini e dentro la stessa. Un tempo era facile inseguire e prendere i grossi marvizzi (del tipo verde chiaro più che “ciliegia”) e tordi neri (detti “verdoni”) che popolavano le praterie, ma adesso sono diventati rari e molto più smaliziati anche questi pesci. Comunque ogni tanto si trovano e bisogna sparare al volo, perché se entrano dentro spariscono, tranne qualche volta in cui si riaffacciano brevemente (ma è una seconda “finestra” di possibile tiro che dura solo pochi decimi di secondo) e dopo spariscono per sempre nella verde ondeggiante prateria.
Il dentice
A parte trovare un dentice isolato, nascosto e fermo nella posidonia (un po’ come capita con le spigole), evento da considerarsi molto raro e casuale, per il resto non si può certo dire che il dentice sia un pesce da posidonia. Tuttavia ci sono posti in cui, con aspetti lunghissimi effettuati nascosti nell’alga, si possono portare a tiro i dentici così come altre specie che nuotano alte sopra il fondale. Del resto la posidonia è un ottimo nascondiglio. Anzi sarebbe addirittura un occultamento perfetto se non fosse fastidioso da gestire per l’interferenza degli steli davanti agli occhi e per l’effetto del senso di nausea causato dall’incessante movimento di ondeggiamento.
I lavori presso la Centrale di Civitavecchia
Tra il 2004 e il 2005 c’era spesso una specie di piccola nave ferma e ancorata, ma con un frastuono di motore acceso, a meno di duecento metri da terra davanti alla baia di Grottacce a Santa Marinella. Rimaneva sul posto per giornate intere e anche solo il fracasso dei motori provocava un inquinamento acustico intollerabile per i pesci, che rimanevano fermi, nascosti e terrorizzati, per giornate e per settimane. Mi chiedevo chi potesse avere autorizzato qualcosa di tanto nocivo ma nessuno sapeva dirmelo. Un anno o due dopo questi fatti, avevo quasi dimenticato tutto e mi trovato a pescare nella stessa zona. Ad un certo punto stavo facendo un lento agguato strusciando con la pancia su una zona di sabbia e di fango piatto e, improvvisamente, mi sentii trattenere per la cintura. Superato lo spavento iniziale guardai sotto di me e vidi che il chiodo del cavetto che avevo in cintura si era apparentemente incastrato in qualcosa che era sotto la sabbia. Agitai la mano per spostare la sabbia e vidi che sotto c’era un pesante riquadro di cemento delle dimensioni di un quadro (40 x 40 circa) il quale al suo interno aveva una trama di rete metallica (come quella di un pollaio) e tra le maglie di questa rete si era infilato e incastrato il mio chiodo. Una cosa pericolosissima! Per fortuna l’apnea era buona e non dovetti sganciare ma mi limitai a sfilare delicatamente il chiodo dall’incastro. Subito dopo scesi di nuovo e cominciai a sollevare la sabbia in giro e vidi che – in tutta la zona – sotto un centimetro di sabbia e fango, c’erano centinaia di altri riquadri del genere che determinavano una piattaforma nascosta fatta di cemento e rete di metallo, pericolosissima per i subacquei e inquinante per il fondale. Allora guardai meglio e notai che in alcuni di essi c’erano i residui di qualche piantina di posidonia ormai morta da tempo. Rimasi semplicemente esterrefatto. Ecco cosa faceva quella nave oltre ad inquinare acusticamente l’intera la zona: stava anche inquinando tutto il fondale con questi assurdi detriti di riquadri di cemento con rete metallica. Evidentemente era stato tentato un inconcepibile esperimento di reimpianto di posidonia che non aveva dato alcun esito positivo e di questo totale fallimento io stesso ero il testimone. E quello che ne rimaneva erano solo quei riquadri orribili, inquinanti e pericolosissimi, a causa dei quali mi ero appena preso un bello spavento.
Alla fine venni a sapere cosa era successo. Quell’attività di reimpianto di posidonia era una delle opere compensative imposte per rilasciare l’autorizzazione alla realizzazione della nuova darsena per lo scarico del carbone nell’ambito della riconversione della Centrale di Civitavecchia. La realizzazione delle opere portuali aveva comportato la distruzione fisica di una certa superficie di posidonia ed era stata richiesta, a compensazione e mitigazione ambientale, quest’attività di reimpianto rivelatasi del tutto inutile ed anzi dannosa. Tra l’altro io sono un frequentatore anche della “Frasca” di Civitavecchia, che è la zona di pesca vicina alla Centrale (ex ad idrocarburi ed oggi a carbone) e posso testimoniare che il problema della distruzione fisica di alcune centinaia di metri quadri di posidonia per la realizzazione delle nuove opere portuali è stato l’ultimo dei problemi della riconversione per quanto riguarda il mare. Infatti il vero problema per tutta la prateria di posidonia della Frasca (cinque chilometri di prateria e non solo quelle poche centinaia di metri distrutti per realizzare la darsena) è stato il fatto che il dragaggio necessario per il lavori (complice la corrente che da noi notoriamente va quasi costantemente verso nord) ha resto l’acqua torbidissima per circa tre anni (tre anni nel corso dei quali sulla batimetrica dei tre metri c’era la visibilità di quella dei quaranta metri o anche peggio). Questo fatto davvero ha danneggiato enormemente un’enorme estensione di prateria, altro che quella poca distrutta per la darsena. Una delle cose più ridicole che ho letto sull’assurda operazione del reimpianto della posidonia nei riquadri di cemento, è stata che le zone di rempianto avrebbero dovuto essere protette mediante delle boe dalle imbarcazioni, le quali, con i loro ancoraggi, danneggiavano i riquadri rovesciandoli (non c’è che dire, il colpevole è sempre un altro). Tanto per cominciare io sono il testimone che nella zona che ho visitato personalmente (la baia di Grottacce) dopo due anni i riquadri erano tutti al loro posto, ma era la posidonia che non c’era perché era già tutta morta e quello che restava del costosissimo reimpianto erano solo i riquadri inquinanti e pericolosissimi per i subacquei. Casomai le boe avrebbero dovuto essere messe per dire: “attenzione pericolo, qui abbiamo affondato dei riquadri nascosti e inquinanti”. E poi se, altrove, per caso qualche barca da diporto ne ha rovesciato qualcuno di quei riquadri, non posso vederla altrimenti che come una cosa positiva perché, perlomeno, così facendo ha segnalato il pericolo dei riquadri ai subacquei.
Dunque riepiloghiamo gli “ottimi” risultati che ci hanno dato il Ministero dell’Ambiente e le altre istituzioni responsabili in questo caso. Per prima cosa abbiamo ottenuto la distruzione di una parte della prateria per la realizzazione della nuova darsena per lo scarico del carbone (questa di tutte le cose è la meno grave perché perlomeno è servita a realizzare la darsena). Per seconda cosa abbiamo avuto un intorbidimento fortissimo di tutta la zona di cinque chilometri a nord di Civitavecchia che va dalla Centrale alle “Villette”. Questo secondo fattore ha danneggiato tutta la prateria molto più del primo fattore ed è stato completamente ignorato. Io in quegli anni sono andato sul posto almeno per un giorno a settimana e posso testimoniare che il fenomeno è perdurato gravissimo per oltre tre anni (dico tre anni!). I soldi per le opere di compensazione e mitigazione ambientale non sono stati utilizzati per cercare di contenere al meglio il fenomeno dell’intorbidimento (come sarebbe stato necessario e fondamentale), ma tutto al contrario sono stati sperperati per estrarre una per una dal fondo marino della “Frasca” circa trecentomila talee (trecentomila avete letto bene) e poi trattarle una per una e poi reimpiantarle una per una (con quella famosa piccola nave che inquinava acusticamente) nei famosi riquadri di cemento (che hanno dato pessimi risultati come poi ammesso da tutti) e sono rimasti – inquinanti e pericolosi – quale l’unica vestigia dell’improvvida e costosissima operazione compiuta. Io personalmente posso testimoniare che davanti alla baia di grottacce questo che ho appena descritto è stato il solo risultato e la compensazione dell’inquinamento è consistita nella produzione di nuovo inquinamento. I commenti li lascio a voi, io mi astengo.