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Senza Categoria

Quando la Normandia sta a Santa Marinella

(di Gherardo Zei)

Tra gli amici è opinione comune che io sia una strana specie di avventuriero pantofolaio. Dicono tutti che è difficile staccarmi dalle mie consolidate abitudini, tra le quali la più coriacea ed irrinunciabile è quella di andare a pesca esclusivamente a Santa Marinella, quasi sempre da solo e praticamente soltanto nei soliti posti.

Il mio caro amico e compagno di pesca Massimo Profeti appartiene invece alla scuola di pensiero del “nomadismo venatorio” e, nella bella stagione, lo si può localizzare nei più diversi punti del mediterraneo e dell’oceano atlantico mentre si dedica alla cattura delle specie più pregiate. Viene visto in Turchia alla ricerca di dentici, lo si può incontrare in Sardegna alla ricerca di orate (e dentici), è localizzabile alle isole Eolie in caccia di cernie (e dentici) oppure in Normandia mentre insidia all’aspetto spigole giganti (e dentici). Da quanto ho scritto avete capito due cose di Massimo: la prima è che è un totale fissato dei dentici e la seconda è che si tratta di un eccellente pescatore in apnea, che passa un’estate meravigliosa effettuando grandi pescate in posti da sogno.

Nel corso di tutte le vacanze ci telefoniamo e ci teniamo informati reciprocamente e – mentre lui solca i più diversi mari con compagni di pesca sempre differenti – io sono sempre da solo a Santa Marinella (strana amicizia la nostra). In ogni caso quest’anno, con la storia delle spigole giganti in Normandia, la mia adorata Santa Marinella si è presa una bella rivincita. E il partito degli avventurieri pantofolai può vivere un’effimera esultanza e godere di una breve ma divertente “vittoria di Pirro”. Infatti ho catturato in agosto a Santa Marinella una spigola più grossa di quelle prese da Massimo in Normandia. Ecco come è andata.

Il Venerdì c’era stata una grande mareggiata di scirocco. Era da anni che non ne vedevo una così a Santa Marinella e parecchie imbarcazioni avevano avuto seri problemi (compresi alcuni grossi mercantili). La mattina della domenica la scaduta aveva reso il mare praticabile per noi pescatori in apnea. L’acqua vicino a terra era ancora troppo torbida, ma spingendosi un poco al largo si poteva godere di una visibilità pari a circa due o tre metri a seconda dei punti. Ero entrato in mare con grandi speranze di trovare branchi di pesce di entrata ma rimasi ben presto deluso. Infatti non solo girava pochissimo pesce ma la maggior parte delle zone buone del sottocosta erano ancora impraticabili per l’acqua eccessivamente torbida. Mi spinsi allora ancora più in fuori, a pescare proprio nella zona in cui l’acqua più chiara sembrava quasi sfumarsi nell’acqua color latte della zona di risacca più violenta. Ma non si vedeva una coda e già sentivo avvicinarsi il temuto cappotto. Nel corso dell’ennesimo agguato vidi un paio di saraghi accettabili arrivarmi di muso per poi fuggire con un guizzo. Finalmente! Avevo trovato una zonetta con i saraghi, la mia ultima speranza per evitare il cappotto!

Mi preparai accuratamente e, nel tuffo successivo, eseguii un lentissimo agguato. Arrivarono due saraghi di cui uno di dimensioni sufficienti. Conclusi l’azione con un breve aspetto e catturai il sarago. Mi sentivo sollevato, il cappotto era evitato ancora una volta. Non avendo visto pesce altrove decisi di soffermarmi il più possibile in quel punto sperando di aver trovato la chiave della situazione. Sperare non costa niente in fondo. Al primo aspetto niente. Dopo la fucilata i saraghi erano ovviamente scomparsi. Sommozzai nuovamente ed eseguii un agguato finché non mi ritrovai al riparo di una bassa cigliata. A quel punto mi fermai all’aspetto, concentrato sulla possibilità di vedermi arrivare qualche sarago di muso. L’acqua torbida e ricca di sospensione ondeggiava nel silenzio intorno a me e nulla lasciava pensare che sarebbe successo qualcosa di particolare. Ma dopo non più di dieci secondi accadde il fatto. Un siluro nero entrò nel mio campo visivo tre metri sulla mia sinistra e lanciato ad una discreta velocità in direzione opposta alla mia. Era una spigola enorme e non mi aveva né visto né sentito. Filava dritta, sicura e veloce senza dare l’impressione di muovere le pinne e sembrava concentrata sulla percezione di qualcosa intorno a se.

A mio parere stava cercando i saraghi esattamente come li stavo cercando io. Il mio primo pensiero fu solo: “Spigola!”. Il secondo fu: “Non ce la posso fare a brandeggiare abbastanza rapidamente prima che sparisca! E anche ammesso che io ce la faccia sentirà l’onda di pressione mi brucerà con un guizzo!” Ma mentre formulavo questo pensiero avevo già arretrato il calcio del fucile fino al petto e stavo ruotando il polso. Non pensavo più a nulla e cercavo solo di essere veloce e preciso nei movimenti. Ecco fatto. Una breve riestensione del braccio ed ero pronto al tiro d’imbracciata. Per una frazione infinitesimale di secondo, prima dello sparo, assaporai la sensazione di stupore di essere riuscito (grazie all’estrema brandeggiabilità del Cyrano ed alla risacca che aveva nascosto i miei rapidi movimenti alla linea laterale) a mettere in mira lo spigolone. L’ultimo pensiero fu quello di inclinare ancora un poco il polso per cercare di colpire non troppo in coda il pesce che ormai stava quasi per scomparire nel torbido. Poi, quasi ripiegato su me stesso, bloccai il polso e contrassi il dito medio sul grilletto.

A questo punto, come spesso succede nel corso di una bella cattura, entrai in un’altra dimensione e i ricordi si fanno frammentari ed alterati. Certi particolari sono precisissimi nella memoria mentre altri sono addirittura mancanti. Ma penso che ogni pescatore subacqueo abbia fatto la stessa esperienza. Quella che ricordo di sicuro è la sensazione (sensazione e non visione chiara) che il tiro fosse andato a segno; poi mi sono ritrovato in superficie con la sagola che usciva violentemente dal mulinello e poi di colpo non usciva più. E per un lungo secondo sono rimasto fermo come un mammalucco a guardare il sagolino nero che si perdeva dritto ma inerte nel torbido verso il fondo. Poi ricordo di essere sceso tirandomi lungo il sagolino e di avere visto sul fondo la grossa spigola che si dibatteva e scodava impazzita. Era in sagola ma colpita bassa e quindi ero preoccupato che si strappasse. Riuscii ad afferrarla una prima volta ma subito dopo persi la presa per una scodata più forte delle altre. Maledissi la mia stupidità. Non bisogna mai e poi mai perdere la presa su un pesce del genere perché potrebbe non esserci seconda occasione. Ma ormai eravamo praticamente legati insieme da molti metri di nylon e di sagolino nero e quindi lo spigolone dopo avermi nuotato intorno mi ritornò tra le braccia praticamente quasi da solo. E finalmente conclusi la cattura, constatando di essermi provocato nella rissa tra gli scogli un “sette” nella salopette nuova.

L’indagine retrospettiva dimostrò che il tiro era stato solo leggermente basso e che quindi, essendo il pesce in sagola, non era mai esistito nessun rischio reale di strapparlo. Mentre il motivo per cui il tiro era stato basso è sicuramente da ricercarsi in quel mio movimento di polso finale nel tentativo di non colpire il branzino troppo in coda. Col senno di poi si è rivelato un errore. Infatti sarebbe stato sicuramente più sicuro colpire il pesce nel quarto di coda ma centrarlo perfettamente piuttosto che rischiare di colpirlo male e strapparlo. La regola per cui il tiro deve essere sempre fatto con un perfetto allineamento di occhio braccio e arma non dovrebbe mai essere violata.

Per la cronaca lo spigolone – che era un vecchio veterano di cento battaglie con un’antica cicatrice di fucilata sulla schiena – pesava quattro chili e mezzo ed anche la Normandia quel pomeriggio si dovette inchinare di fronte a Santa Marinella.

Gherardo Zei

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