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Ricordi che aiutano

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(di Leonardo Callegari)

L’attuale emergenza Covid per me, medico ospedaliero lombardo appassionato di pesca sub, assomma la tensione giornaliera che si vive nei reparti all’impossibilità di praticare il nostro amato sport. Allora sono i ricordi che aiutano ad andare avanti.
1 novembre 2019, Monterosso al Mare. Nei prossimi giorni è prevista mareggiata ma oggi la giornata è splendida, sole e mare calmo. Dato il periodo non è necessaria una levataccia, perciò faccio colazione con calma, indosso la mia liscia-spaccata in vasca e a piedi mi dirigo allo scalo.
Il vecchio e fidato gommone è rapidamente varato, il 25 cavalli parte al primo colpo, tutto fila liscio, la navigazione verso Ponente per uscire dall’Area marina Protetta è tranquilla e veloce. Lo spettacolo è magico! Il sole, il mare, la punta del Mesco e in mare…..nessun’altra imbarcazione: che differenza rispetto alle uscite di settembre!
Oltrepassata la baia di Levanto butto l’ancora e rapidamente sono in acqua. Caricato il mio fido Totem Pelagos Twin faccio un tuffo per scaldare il fiato e testare la pesatura: sul fondo c’è un bel sarago, ma quasi non lo considero, figuriamoci se resta fermo con una discesa così diretta…. ma probabilmente sono sceso nel suo angolo cieco, il tiro non ha storia e il pesce è nel cavetto. Cominciamo bene.
I tuffi si susseguono ma non arriva nient’altro di interessante. Le tane di corvine conosciute sono vuote, aspetti e agguati non danno risultati. Scendo intorno ai 18 metri a “ salutare “ una cernia ormai mia amica che mi beffa da oltre 2 anni entrando in una tana inespugnabile; anche oggi non fa eccezione, chissà, prima o poi… intanto cresci!
Sono passate 2 ore, è tempo di tornare al gommone, prima di invertire la rotta mi fermo un attimo a galla a scrutare il fondo. Qualcosa attira la mia attenzione, nulla, è solo alga, ma un attimo, con la coda dell’occhio, colgo un piccolo movimento, metto a fuoco: è una cernia. Sembra anche grossa, ma non riesco a valutare con esattezza le dimensioni.

Le sono proprio sopra, non vedo altre possibilità se non di tentare una caduta. Ventilo con calma, effettuo una capovolta silenziosa, cado lentamente quasi senza pinneggiare ma, quando sono a circa 5 metri dal fondo, lei lentamente si infila sotto un enorme masso. Arrivo sul fondo a 12 metri, mi avvicino lentamente all’imboccatura della tana, guardo dentro. Niente!
Risalgo, prendo la lampada, ventilo e torno giù, scruto tutte le aperture sotto al masso girando intorno, ma ancora niente. Faccio per tornare a galla ma la sagola della plancetta si è incagliata; sgancio allora il piombo mobile, torno su guardando il fondo e… quando il piombo tocca il terreno il pesce, forse incuriosito dal rumore o forse per guadagnare una tana migliore, esce dalla spaccatura, mi vede e subito fa dietro front.
Allora ci sei! Ventilo, scendo di nuovo, mi affaccio alla tana, torcia e arbalete allineati, scruto da sinistra a destra. Eccola.
E’ ferma, appoggiata al tetto della tana. Il tiro è perfetto ma non letale. Si scatena il finimondo, l’asta le impedisce di arroccarsi, risalgo tenendola in tensione filando il mulinello. Ancora un tuffo, impugno l’asta ed è mia! Al peso 7 chili, per la Liguria niente male! Raggiungo il gommone e rapidamente torno in porto per le foto di rito.
Il ricordo di questa e di altre giornate di pesca mi accompagna in questi giorni di pandemia passati tra ospedale e casa, in attesa di poterne presto viverne altre.
Leonardo Callegari

 

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