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Solo il pretesto per un altro tuffo
Non andiamo in mare per il pesce o per stabilire dei record. Tra le onde cerchiamo un “momento” o forse un sentimento.
In acqua quando si armonizzano le condizioni ambientali, fisiche e psicologiche avviene un miracolo interiore e si genera un sentimento. E’ un momento speciale ed intimo che non si può preventivare, costruire e nemmeno prevedere. Non avviene né per volontà né per denaro ed ogni volta che succede assomiglia ad un piccolo miracolo. E’ un sentimento che è semplicemente impossibile descrivere ad una persona che non sia un apneista o un pescatore subacqueo. Un sentimento di cui è difficile parlare anche tra noi perché ci vergogniamo e perché non troviamo le parole. Se dovessi tentare per forza una definizione potrei provare a chiamarlo “senso d’armonia” . Ho studiato per tanti anni gli scacchi e ricordo che il Grande Maestro Smyslov così chiamava quel sentimento di pienezza che si prova quando si ha la sensazione di comprendere a pieno il significato strategico di una posizione. “La visione posizionale è come un senso d’armonia” diceva Smyslov “e io cerco questa armonia negli scacchi come nella vita”. Ecco quello che si prova in mare in certi momenti è prprio quel “senso d’armonia”, ma ogni parola sembra inappropriata e quindi inutile. Io sono certo che tutti noi andiamo per mare solo per poter dire a noi stessi che nella vita abbiamo vissuto quel “momento”, che abbiamo provato quel sentimento, che abbiamo fatto, anche una sola volta, l’esperienza di quel miracolo interiore. E pensare che, alla fin fine, non lo sappiamo nemmeno descrivere. Non riusciamo a descriverlo e nemmeno a parlarne ma, quando immaginiamo noi stessi nel futuro, da vecchi e da infermi, pensiamo sempre con commozione che, in quei giorni finali di decadenza, potremo dire a noi stessi: “Io c’ero, io l’ho fatto, io l’ho vissuto. Non ho rimpianti”. E guarderemo i cimeli e le vecchie fotografie delle tante avventure e sentiremo ancora una volta un ultimo vago e tenue profumo di quel sentimento indescrivibile. .
Il “fatto” succede ed il miracolo si avvera alcune volte in cui andiamo in mare, ma non di certo tutte le volte. Ci sono molti giorni in cui cerchiamo inutilmente in mare il “Senso d’Armonia” per tutta la giornata ma non lo troviamo. Infatti basta anche solo un piccolo inconveniente perché la complessa alchimia da cui deriva il miracolo sia alterata e distrutta. Il “Senso d’Armonia” è meraviglioso e fragile come una bolla di sapone e – allo stesso modo in cui per far scoppiare una meravigliosa bolla – può bastare una breve e maligna raffica di vento, così può bastare un grosso rumoroso motoscafo guidato da una persona che ignora le “leggi” del mare, per far svanire dentro di noi il sentimento d’armonia che si stava formando. Vedere un brutto rifiuto industriale sul fondo, incontrare un pescatore sleale che pesca inseguendo e/o spaventando il pesce con il gommone, osservare segni di sofferenza nella vita marina come una carenza anomala di pesce, strappare una bella preda che andrà a morire tristemente ed inutilmente. Questi sono tutti eventi negativi e disarmonici che possono bloccare e vanificare la complessa e fragilissima creazione del “Senso d’Armonia” e, alla fine, sottrarci quel regalo sublime che il mare, la libertà e l’avventura sono capaci di infondere dentro al nostro cuore.
Ma per fortuna alcune volte va tutto bene ed il miracolo si ripete. E allora il nostro cuore vola alto sopra le onde e la nostra anima si riempie di beatitudine e la realtà stessa, intorno a noi, sembra mutare la sua natura. E’ il momento, è il miracolo, è l’armonia interiore.
L’ultima volta per me è successo alla fine di giugno. Da due giorni c’era mare formato e già il giorno precedente avevo fatto una bella pescata nella schiuma. Ma non avevo raggiunto il “Senso d’Armonia”. Nonostante la bella giornata e le molte catture il miracolo non era avvenuto. Ero stato troppo teso a causa del fatto che mi trovavo a pescare con il mare grosso in un posto che non conoscevo bene e di cui non ero in condizioni di valutare appieno gli eventuali rischi. Inoltre avevo forse preso un po’ troppo caffé a colazione e quindi faticavo a trovare quella sensazione di equilibrio e di rilassamento che fa parte integrante dello spirito dell’apnea. Avevo quindi fatto una bella pescata e mi ero divertito ma il miracolo non era avvenuto. Partivo per il secondo giorno di pesca nella schiuma con il mare più forte del giorno precedente ma con un bagaglio di esperienza superiore sul posto in cui mi trovavo. Entrai in acqua da una baietta tranquilla insieme al mio compagno di pesca al quale, essendo molto meno esperto di me, ero deciso a lasciare quasi intatte le zone più vicine al punto di partenza in modo da farlo pescare in tranquillità e in sicurezza nel tratto di costa meno battuto dalla mareggiata.
In acqua mi accolse una sospensione impazzita e una buona visibilità. Iniziai ad effettuare alcuni aspetti ed agguati nel bassofondo e già percepivo che le sensazioni dell’apnea erano ottime a differenza del giorno precedente. Al terzo tuffo vidi sulla mia destra un branco di una quarantina di salpe tutte pari o superiori al chilo di peso che brucavano tranquillamente. Eseguii un agguato nella loro direzione e poi mi fermai per un nuovo aspetto e le vidi sfilarmi lentamente tutte a tiro. Non avevo intenzione di sparare. Ero troppo vicino al punto di partenza e non volevo spaventare quei pesci che avrebbero sicuramente fatto la gioia del mio compagno di pesca. Rimasi ad assistere al bello spettacolo dei salponi giganti che mi passavano di fianco, lentamente, dal primo all’ultimo. Poi risalii in obliquo per cercare di creare meno scompiglio possibile e continuai nel mio percorso lungo costa, nei frangenti. Dall’esperienza del giorno precedente avevo ormai capito bene come funzionava la corrente in quel tratto di fondale ed avevo anche compreso come sfruttare al meglio le spinte di risacca delle varie asperità di quello specifico profilo roccioso al fine di faticare il meno possibile. E quasi mi divertivo a farmi lanciare da un’onda di riflusso per poi farmi riagganciare dall’onda della punta successiva. Così, in qualche modo trascinato dalla potenza superiore del “padre mare” ma controllandola con la mia conoscenza artigianale dell’onda, cominciavo a sentire la gioia interiore che si faceva strada dentro di me. Iniziavo a percepirla che saliva dal profondo e si faceva strada nel mio cuore. Tutto intorno a me non c’era nessuno: solo il mare e l’onda. Avevo lasciato indietro di parecchio il mio compagno ed anche l’unico surfista d’onda che aveva avuto voglia di uscire con quel mare da lupi. In mia compagnia c’era solo un cormorano che si tuffava di quando in quando nell’onda. Anche lui faceva la sua pesca nella schiuma. E ogni tanto mentre ero all’aspetto lo vedevo piombare dall’alto e proseguire in caccia sott’acqua nuotando con il suo stile di “delfinetto” inconfondibile. Superata la punta mi tuffai, già quasi in estasi, per un aspetto dietro due grossi roccioni. Non erano passati nemmeno dieci secondi che arrivarono i saraghi. Erano quattro e già il primo sarà stato di almeno sette o otto etti ma il secondo era veramente spettacolare (un chilo e duecento grammi). Di norma io sparo sempre al pesce sicuro ma ve l’ho detto che ero in estasi e quindi aspettai. Il primo sarago mi superò e il secondo giunse a tiro. Ero fermo, ben incastrato nel fondo e comodo e sentivo un’apnea ottima; davvero stavo benissimo e ammiravo la scena. Stava sopraggiungendo anche il terzo pesce quando il saragone più grosso si girò mostrando il fianco e contemporaneamente la mia taitiana saettò mettendolo in sagola, fulminato. Sballottato da mille onde misi il pesce in cintura, ma ormai il miracolo era avvenuto. L’estasi aveva invaso il mio cuore e non sapevo più cosa stavo facendo e dove mi trovavo. Alzai la testa dall’onda per guardarmi intorno. Il sole era alto e faceva scintillare la schiuma in mille sfaccettature di diamante. La scogliera era bellissima, aspra, aguzza e verde di macchia mediterranea. Avevo un sarago fantastico in cintura ed ero solo in mare. Era giunto il momento magico, il mio cuore era invaso da quel sentimento segreto e davvero non mi importava più niente di catturare altro pesce. Potevo essere il primo o l’ultimo uomo del mondo. Mi sentivo la più piccola, la più umile e la più felice tra tutte le creature del creato.
Misi giù la testa e mi abbandonai nell’acqua sentendomi come una particella della risacca e rimasi così per due o tre minuti, semplicemente facendomi portare dall’onda verso la punta successiva e con il cuore e il cervello talmente pieni di gioia da non riuscire nemmeno a ragionare. Poi decisi di continuare a pescare perché quello era il modo giusto per prolungare il più possibile quel momento di grazia. L’apnea, il mare, la burrasca, la natura, la gioia! Non avevo certo bisogno di pescare ancora ma mi serviva di sicuro un pretesto. Solo il pretesto per un altro tuffo.