Girando in rete e chiacchierando con altri pescatori capita sempre più spesso di venire a conoscenza di “strani” comportamenti da parte di diverse specie. Cambi di abitudini, di zone, di batimetriche, cambi di periodi e di approccio al sub. Episodi generalizzati e non isolati, che ci hanno spinto a mettere in cantiere un filone di articoli mirati. Cominciamo dal branzino di Alessandro Martorana
Con questo scritto vogliamo aprire un nuovo filone di articoli, pezzi di grande attualità visto che vanno a trattare un argomento molto sentito di questi tempi: i cambiamenti climatici, trattati però dalla parte delle prede.
Sì, avete capito bene. Analizzeremo i comportamenti di alcune delle principali specie presenti in Mediterraneo soffermandoci su come sono mutate le loro abitudini, i loro atteggiamenti, le loro zone di caccia e le batimetriche in cui vivono. Cercando di dare una spiegazione plausibile a tutto ciò. E lo abbiamo fatto sfruttando anche il cosiddetto passa parola in rete, quella moltitudine di informazioni che girano tra gli appassionati del nostro sport.
Di carne al fuoco ne abbiamo tanta. Dai saraghi “gommosi” alle “non” entrate dei cefali e delle orate. Dagli “strani” nascondigli scelti dalle cernie al girovagare dei dentici in pochi metri d’acqua, per finire (o, meglio, cominciare) con la spigola, che un tempo veniva insidiata e catturata solo in inverno ma che, adesso, non è invece più così. Ed è proprio della “regina” del bassofondo che vogliamo cominciare.
Premetto che non sono un biologo, un etologo e tanto meno un oceanografo e scrivo e parlo solo alla luce della mia esperienza e della mia curiosità, che mi portano ad andare in mare con occhi sempre giovani e assetati di conoscenza.
A mia memoria, la spigola è sempre stata considerata la regina dell’inverno e dell’acqua bassa. E infatti le mie uscite invernali hanno sempre avuto come obiettivo la cattura di questo affascinante predatore.
E’ un’emozione indescrivibile vedere il tuo testone avvicinarsi emergendo come un fantasma dalle nuvole di sospensione e di bollicine di risacca nel bassofondo martoriato dai marosi. Chi pesca in inverno sa bene di cosa parlo e ormai sono tantissimi gli appassionati che aspettano con ansia i mesi freddi per andare a caccia di branzini.
Certo, in inverno può capitale la leccia, qualche bel cefalo, saraghi spessi come libri, ma non ci sono santi: con il freddo si va a spigole! O, almeno, così si è sempre fatto, però le cose stanno cambiando…
La scorsa estate ho deciso di provare a impostare le mie battute proprio alla ricerca delle spigole; e l’ho fatto negli stessi posti dove normalmente le incontro in pieno inverno. Questa decisione non è nata per caso, bensì dalle voci, sempre più insistenti, che giravano tra noi pescatori del Lazio; insomma, non era frutto di una pazzia ma di una tangibile valutazione del fatto che il nostro mare sta radicalmente cambiando.
Una volta la cattura di una spigola, spesso intanata sotto un lastrone, capitava anche in pieno agosto; non dico di no. Ma si trattava di un fatto fortuito e sporadico. Ora non più.
Una piccola premessa: ormai pesco molto poco in estate; la sempre più pressante presenza di traffico nautico e la conseguente desertificazione che, in questi mesi, contraddistingue da anni le classiche distese di grotto del Lazio, mi fanno sempre più passare la voglia di immergermi nel periodo caldo, soprattutto nella classica maniera “laziale”, con fucile corto, fiocina e torcia. Tra l’altro, da qualche tempo mi sono disinteressato alla pesca in tana e, soprattutto, alla cattura dei saraghi, che mi hanno stancato dal punto di vista culinario, preferendo un cefalone o un grosso tordo da cuocere lesso o con il pomodo in tegame.
Ragion per cui in estate preferisco evitare i fine settimana, scendo in acqua al tramonto con un fucile di un metro all’aspetto o all’agguato. E la scorsa estate, come anticipato, ho addirittura indossato lo schienalino facendo su e giù tra il mezzo metro e i quattro metri di profondità, in quelle zone dove normalmente si incontrano le spigole.
Vi assicuro che non sono matto e mi sono divertito un sacco. Oltre ad aver individuato diverse spigole nei posti canonici di cui sopra, ho visto quantità di pesce come non incontravo da anni pescando sempre e solo con “mini, torcia e forchetta”.
Nelle zone di grotto, ai margini con le praterie di posidonia, ho infatti preso parecchie spigole e anche cefali, orate e qualche sarago. Utilizzando l’ancora galleggiante, mi sono spinto quasi fino a riva, nelle zone di litorale basso ma non sabbioso e gli incontri più interessanti sono avvenuti proprio in prossimità di qualche rigagnolo che sfocia in mare: proprio come in pieno inverno.
Una cattura su tutte mi è rimasta in testa. Sommozzavo nella zona di Punte delle Quaglie, a nord di Civitavecchia. La volta precedente, pescando con la risacca che smuoveva il fondale, avevo sorpreso una bella orata e mancato un serra, ma quel giorno il mare era calmissimo e pulito. Eppure mi sono buttato nella stessa zona, spingendomi ancora più a terra anziché puntare verso il largo, come avrei fatto una volta con quelle condizioni.
A un certo punto, mentre il gommone mi seguiva da vicino con l’ancora galleggiante, vedo da lontano una risalita di tufo che fa da contrafforte alla zona di grotto. Oltre, si apriva una prateria di posidonia.
Veloce ventilazione e mi apposto usando la zolla di tufo come trincea e puntando il fucile verso terra e verso la posidonia. Tre metri d’acqua.
Arrivato sul fondo pratico il classico richiamo; deglutisco sperando nell’arrivo di un’orata. Intanto penso che “se fosse stato inverno questa sarebbe stata una classica situazione da spigola”. Il tempo di elaborare questo pensiero e dall’alga mi arriva incontro un branzino. Niente di enorme: un pesce da un chilo e mezzo, che però ha ancora più rafforzato in me la convinzione che dobbiamo sempre più improntare le nostre uscite sugli incontri insperati e “fuori dal comune”, almeno rispetto a come funzionava una volta.
Il mio grande amico Fabrizio D’Agnano, conosciutissimo divulgatore della nostra passione, fresco Team manager della Polosub e che considero una delle persone più intelligenti che abbia mai frequentato in mare, da tempo mi parla della sua teoria dei “posti fessi”.
Sempre più spesso anche lui ama improntare le sue uscite in poca acqua evitando le zone canoniche, quelle frequentate da tutti, preferendo cercare spot quasi impalpabili e inesistenti. Spot costituiti da baiette con fango e ciottoli, risalite di mezzo metro di tufo sulla sabbia, tassoni di fango tra le praterie di posidonia. Tutti posti che normalmente non avrebbero mai attirato la nostra attenzione.
Ebbene, a forza di frequentare questi posticini, piano piano si impara a capire il momento migliore in cui andarci, valutando con attenzione marea, ora del giorno, vento, temperatura e moto ondoso. E con il tempo si scopre come questi posti siano in grado, se ci si va quando si deve, di offrire spettacoli incredibili, anche in piena estate. Con catture proprio di grosse spigole che, una volta, non avremmo mai incontrato in questa stagione.
Adesso mi chiederete: ma perché questo cambiamento? Cosa sta accadendo? Sinceramente non ho la risposta o, almeno, non ho una sola risposta.
Le ragioni possono essere tantissime. L’innalzamento delle temperature, gli allevamenti in mare da cui talvolta escono i pesci, l’incostanza del meteo, la forte pressione del prelievo industriale e tanto altro. Tutte ragioni per cui, sempre più spesso, le belle spigole (spesso raccolte in folti branchi) amano frequentare i litorali laziali tutto l’anno (ma non solo quelli) senza lasciarli mai veramente del tutto, come invece accadeva tempo addietro.
Fatto sta che, grazie alla presenza costante di questi pesci, sto sempre più affinando la tecnica di frequentazione dei “posti fessi”, come dice l’amico Fabrizio, con sempre più gusto e divertimento.
Fatemi sapere cosa ne pensate e se avete anche voi notato questi cambiamenti che, una volta tanto, sono positivi per la nostra passione.