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Storie di orate
L’orata “laureata” insidiata in posti battuti nel bassofondo è semplicemente il pesce più difficile che esista. Non parlo delle “acciaccate” di orate fatte da subacquei senza scrupoli che trovano il “montone” e slealmente lo fanno intanare con giri a tutto gas del gommone. Non parlo delle orate prese con la fiocina tra pareti di roccia dopo averle fatte intanare inseguendole scorrettamente a “trainetta” e non parlo nemmeno delle orate facili trovate e pescate in tana. Per carità nulla da eccepire sulla pesca in tana dell’orata se effettuata lealmente, ma bisogna ammettere che è troppo facile rispetto alla nobiltà della preda. Voglio parlare invece della pesca dell’orata smaliziata effettuata all’agguato e all’aspetto. Proprio in quelle condizioni cioè in cui questo pesce sembra esprimere il massimo in termini di sensibilità della linea laterale, di diffidenza e di potenza di fuga. Al libero l’orata, anche in quei momenti in cui sembra ingenuamente assorta nello schiacciare i mitili e distratta dallo stesso rumore provocato dalle sue potenti mascelle, in realtà ha tutti i sensi all’erta. Infatti basta un nonnulla: un insignificante movimento del pescatore, una minima percezione della linea laterale e la fuga sarà così bruciante da impedirci non dico di agire ma anche solo di pensare. E così come il flash del fotografo ci sorprende proprio in quel momento in cui abbiamo battuto le ciglia o abbiamo aperto la bocca, allo stesso modo l’orata ci lascerà con il dito contratto inutilmente sul grilletto senza avere nemmeno avuto la reazione neuromuscolare di premerlo.
Montalto di Castro – Le Murelle, 1995
Della mia prima orata di taglia presa all’aspetto mi ricordo soprattutto lo stupore. Prima dello sparo non avevo avuto tempo di ragionare: mi puntava di muso troppo veloce. Ero concentrato allo spasimo e molto preoccupato di perdere il timing. Dovevo sparare di muso? Dovevo attendere la virata? Prima che potessi rispondermi la virata era già iniziata ed era quasi finita. Dovevo solo sparare subito e pregare. Trascorso il tempo sospeso del tiro, potei finalmente constatarne l’esito. L’orata era in sagola ma purtroppo era colpita “bassa” e nemmeno potevo capire bene quanto alto fosse il rischio di strapparla. La reazione fu violentissima e il pesce si dibatteva strattonando il nylon con tutte le sue forze. Per una frazione di secondo fui pervaso da un’angoscia terribile: stavo per strapparla. L’orata era grande, di una bellezza stupefacente ed era cucita nel nylon del mio fucile a pochi metri da me. Improvvisamente mi sentii come se fossi uscito da me stesso e mi stessi osservando. Ero proprio io il vecchio principiante razzolatore colui che aveva centrato questo magnifico pesce all’aspetto? Ed ecco che senza motivo apparente mi sentii completamente rilassato. Che si strappasse pure se era destino, ero già stato incredibilmente bravo. Ero pieno di stupore e soddisfazione, ma soprattutto di stupore. E fu così che pieno di rilassato stupore completai la cattura.
Le orate leggono nel pensiero?
Il racconto delle orate che non ho preso non è legato ad un luogo o ad una data in particolare. Infatti continuamente e in tutti i luoghi le orate che non ho preso sono state tantissime. Tra tutti i pesci l’orata è quello con il quale ho una percentuale più sfavorevole tra avvistamenti e catture. Secondo le mie osservazioni in media si catturano circa la metà dei pesci di taglia avvistati. Ma nel caso delle orate la mia media è molto inferiore e forse si avvicina al 20%o anche meno. Per quante ne vedo, poche riesco a portarne a tiro e ancora meno ne catturo. Tante volte ho addirittura l’impressione che leggano nel pensiero. Ne potrei raccontare centinaia di storie di questo genere. Una volta per esempio l’acqua era limpida ed ero nascosto dietro una trincea di “morzata”. A “ore 12” molto più alte di me comparvero due orate che arrivavano di muso. Erano ancora lontane e quindi pensai di cominciare a schiacciarmi piano piano ma persi leggermente la presa con la sinistra per un decimo di secondo. Giuro che la mia fu un’oscillazione quasi insignificante e poi i pesci erano ancora lontanissimi (almeno a dieci metri da me). Eppure alzarono all’unisono le spine dorsali e partirono in fuga come due meteoriti. Un’altra volta mi ricordo che ero perfettamente nascosto e vidi un’orata enorme che veniva verso di me ignara della mia presenza. C’era mare calmo e grande visibilità e quindi avevo fondata paura di essere individuato. Per questo mi nascosi completamente, anche al prezzo di perdere il contatto visivo, ma non volevo rischiare di farmi percepire. Rimasi così nascosto ad aspettare che l’orata sbucasse nel punto stimato. Eccola. Era leggermente “lunga” ma si poteva provare. Dovevo solo fare una piccolissima correzione di mira ed ero fiducioso. Invece non si sa come, in un battito di ciglia, l’orata sentii la mia presenza e scattò come un missile. Il tiro, scoccato in ritardo e ormai inutile, si perse tre metri abbondanti dietro al pesce. Ancora un’altra volta stavo effettuando un lungo aspetto e davanti a me a – vicinissimo – c’era solo un fitto branco di salpe. Mi stavo annoiando e quindi cominciai ad esercitarmi a brandeggiare così lentamente da non spaventare le salpe (che notoriamente sono pesci furbi e sensibili). Ero molto contento del mio brandeggio “non aggressivo” perché le salpe rimanevano tranquille a un metro dalla punta del fucile. Improvvisamente, proprio nella direzione in cui stavo brandeggiando: comparve una grossa orata. Solo per un istante mi sentii molto fiducioso nella cattura, il pesce era ancora lontano e per pura fortuna stavo già correggendo il tiro proprio nella direzione giusta. Ma fui subito deluso. Incredibilmente e sottolineo incredibilmente, l’orata, a oltre dieci metri di distanza, mi percepii perfettamente e scattò in fuga come un missile. Tutto questo mentre le salpe che avevo proprio davanti alla punta del fucile continuavano a rimanere tranquille. Pazzesco. Ma le orate leggono nel pensiero?
Civitavecchia – Marangone, maggio 2008
Era una strana giornata senza vento in cui il mare non era calmo come sembrava. Infatti rotolavano potenti onde lunghe provenienti da una lontana mareggiata in Sardegna. Dopo pochi tuffi constatai che la situazione era difficile. A terra l’acqua era color “fango” e anche in mare aperto sul fondo c’era un metro e mezzo di torbido ricco di sospensione che “ballava la samba”. Niente pesce, nemmeno le salpe! Al largo speravo di trovare una zonetta con acqua più chiara. Ma per oltre un’ora mi feci solo venire il mal di mare, avanzando all’agguato in mezzo al pulviscolo con pezzetti di alghe che dondolavano. C’erano due metri di visibilità e ogni tanto sbucava, dalla lattigine ondeggiante, soltanto qualche perchia o un branco di donzelle. Cercavo di capire, a istinto, quale fosse la direzione per trovare un po’ di acqua più pulita ma era difficile. Ero fortemente zavorrato e per sommozzare mi bastava accennare la capriola alzando una gamba; poi piegavo le spalle in avanti, appoggiavo il mento sullo sterno e precipitavo sul fondo. Feci un ennesimo tuffo. Nel momento in cui rialzai la testa per completare la caduta osservai che ero finalmente in un’acqua leggermente più pulita. Ma non ebbi il tempo di pensare perché fui praticamente investito da un fitto branco di salpe di sette/ottocento grammi. Dopo una breve esitazione sparai ad una delle più grosse e feci coppiola. Avevo trovato la zonetta! E preparai accuratamente il tuffo successivo. Ebbi la fortuna di cadere in corrispondenza di una bella trincea di “morzata”, dietro la quale mi appostai con rinnovata fiducia. Dopo una trentina di secondi cominciarono a sopraggiungere i saraghi. Dritti davanti a me due esemplari di circa trecento grammi effettuavano brevi avvicinamenti e fughe. Ero concentrato allo spasimo per cercare di individuare un “padellone” dietro di loro quando avvenne l’inaspettato. Sempre davanti sulla sinistra nel colore opaco del torbido vi era come la macchia rossa di un’orata e intorno la forma di un’orata. Era proprio una bella orata di un paio di chili. Quante cose possono avvenire in un secondo? Chiunque non fosse un pescatore subacqueo risponderebbe che in un secondo non può avvenire nulla. Un secondo è il tempo di un respiro ed è troppo breve per racchiudere avvenimenti. Ma per noi pescatori subacquei è diverso. Infatti quel secondo in cui si decide una cattura è talmente carico di fatti che per raccontarli tutti a volte non basta mezz’ora. L’orata stava venendo verso di me, ma mi sentì e fece una prima virata sulla sua destra. Mi resi conto che dovevo sparare subito. D’istinto arretrai il fucile sollevai il gomito e avanzai la testa per cercare di virare al volo la mira sulla sinistra allineando sia pure alla meno peggio. Avevo il cuore pieno di ansia. Avrei fatto in tempo? La mia mente era piena di flash in cui già mi vedevo felice per la cattura o deluso per il pesce perduto. Finalmente riuscii a completare l’allineamento improvvisato. Nel frattempo l’orata aveva compiuto un altro scarto sempre nella stessa direzione. Probabilmente adesso stava per fuggire. Ma era ancora lì, solo che si era allontanata di mezzo metro e ormai non la vedevo quasi più. Percepivo solo un certo colore argentato e supponevo che si trovasse sul fianco opposto a quello con il quale mi era inizialmente venuta incontro. Non c’era più tempo per pensare e sparai con la sensazione positiva che il tiro fosse giusto.
Tutti questi pensieri e queste azioni in un secondo. Poi lo sparo e dopo il nulla. L’avevo colpita o l’avevo sbagliata? La sagoma argentata non si era mossa e quindi dovevo averla presa per forza! Nuotai in avanti più veloce che potevo e l’orata era lì, attraversata dall’asta da dietro verso il davanti, fulminata.