Siamo all’estremo sud della Puglia, a Santa Maria di Leuca, la base di partenza ideale per esplorare le coste di entrambi i versanti della penisola salentina, quello adriatico, più alto e scosceso, e quello jonico, più dolce e digradante. Si possono mettere in pratica un po’ tutte le tecniche, in una zona peraltro di grande interesse sia storico che naturalistico di Alberto Martignani
Se cerchiamo la collocazione di Santa Maria di Leuca su una cartina geografico notiamo subito come questa località della Puglia si trovi quasi al centro del Mediterraneo, a metà strada tra l’Est e l’Ovest di questo mare. Non è un caso che proprio a Leuca terminasse, in epoca medioevale, la via Francigena meridionale, la strada dei pellegrini e dei crociati, che da qui s’imbarcavano verso la Terra Santa.
Se a ciò aggiungiamo che questa località costituisce lo spartiacque esatto tra due mari, lo Jonio e l’Adriatico, ecco che il cerchio si chiude a delinearne con completezza il carattere di “trait d’union”, storico oltre che geografico, tra Ponente e Levante.
Proprio davanti a Punta Ristola, nei pressi dell’abitato di Santa Maria di Leuca, avviene l’incontro delle correnti provenienti dal Canale d’Otranto e dal Golfo di Taranto, spesso distinguibili cromaticamente l’una dall’altra osservando il mare dalle alte e bianche scogliere che verosimilmente hanno dato il nome alla località (dal greco leukòs: bianco). E’ facile comprendere come questa situazione arricchisca il mare di nutrienti e lo renda mutevole e vitale, favorendo il ricambio continuo di pesce. Questa perlomeno è la sensazione che ho avuto immergendomi in queste acque.
Un bollettino meteo poco incoraggiante
Arrivo a Leuca dopo una lunga maratona autostradale da Bologna (quasi 900 chilometri) per le festività d’Ognissanti. Ho deciso di trascorrere qualche giorno con amici pugliesi Filippo e Salvatore. Una bella rimpatriata, dopo le vacanze estive trascorse assieme alle Azzorre, che hanno consolidato la nostra amicizia.
La solita sfortuna vuole che, dopo uno splendido mese di ottobre, con un clima quasi sempre estivo, proprio per gli ultimi giorni del mese siano previste pioggia e un montare progressivo dello scirocco, che da queste parti è il vento che fa più danni, essendo la costa esposta senza ridosso alcuno. Solo all’ultimo il bollettino migliora leggermente, per cui sembra che almeno un paio di uscite riusciremo a ritagliarcele.
Per la tarda mattinata del giorno successivo al mio arrivo siamo operativi. Scendo con Salvatore al porticciolo di Leuca, dove l’amico tiene attraccato il gommone; rapidamente lo allestiamo per l’uscita. Filippo non sarà con noi, trattenuto da motivi di lavoro. Ci raggiungerà l’indomani.
Il meteo è interlocutorio: preoccupanti nuvoloni neri a terra contrastano con lo sfavillare del sole sulla superficie marina, che è quasi piatta, dal momento che il vento debole da Nord non ha ancora lasciato posto allo scirocco incombente.
Ci dirigiamo a destra, doppiando lo sperone roccioso di Punta Ristola, su cui si ergono le ultime propaggini occidentali
dell’abitato di Santa Maria di Leuca. Nel golfo che segue ancoriamo il gommone per il primo tuffo: Salvatore si allargherà per esplorare alcune tane che conosce mentre io, su suo consiglio, pescherò sotto la falesia sino alla punta successiva, per tentare la sorte sulla vicina franata di roccia.
Sin dal primo approccio, nell’acqua limpidissima, ho la netta percezione che il pesce sia presente, ma estremamente smaliziato. Del resto ci troviamo proprio sotto l’abitato di Leuca e il posto non può non essere discretamente battuto.
In rapida successione intercetto una colonia di mormore che nuota su una chiazza di sabbia tra le concrezioni rocciose, e un piccolo branco di ricciolette. Né le une né le altre, però, si fanno ingannare
dall’aspetto e si defilano velocemente. Avvisto anche alcuni saraghi di taglia, tuttavia sempre con il medesimo, desolante risultato.
In prossimità della punta la velatura dell’acqua aumenta, forse a causa del gioco delle correnti. Tento un aspetto in una decina di metri di fondo e una sagoma dal largo mi punta con decisione. Per un attimo ho la speranza si tratti di un predatore, ma è solo un cefalo, seppur di discrete dimensioni. Non mi faccio scrupolo di premere il grilletto, mettendolo in sagola. Mentre lo recupero, passa Salvatore a prendermi. Ha esplorato, senza successo, i propri segnali e intende rapidamente proseguire verso gli spot successivi. Fatto sta che, appena risalito in gommone, si scatena la furia degli elementi: la nera barriera di nuvole, nel frattempo giunta sopra il mare, ci rovescia addosso una pioggia torrenziale, che annulla quasi completamente la visibilità. Ciò che più preoccupa sono le salve di tuoni e lampi che si susseguono. Non resta altro da fare che rientrare, precauzionalmente, in porto, in attesa dell’evolversi della situazione. Il fortunale scarica rapidamente la propria energia per convertirsi in un’innocua pioggerellina, ma non ci fidiamo. Decidiamo di attendere gli eventi con un paio di tuffi sul lungo antemurale esterno del porto ove, a condizione di non avvicinarsi a meno di 100 metri dall’imboccatura, la pesca è consentita. Si tratta di una diga di tetrapodi spettacolare, con i grossi manufatti accatastati che franano a 12 metri di profondità. Purtroppo non siamo fortunati e sia io che Salvatore sbagliamo una riccioletta ciascuno; nel mio caso perché ho voluto provare a centrarla sparando dalla superficie invece che tentare la planata a mezz’acqua.
Una cernia profonda
Esaurito rapidamente lo spot, possiamo ripartire alla ventura, visto e considerato che la burrasca sembra essersi allontata. Dirigiamo a Ovest, verso il versante jonico che, osservato dal gommone, appare come un litorale basso e tendenzialmente sabbioso, oltre che discretamente edificato. Salvatore, tuttavia, mi dice di non sottovalutarlo: al largo sono numerosi gli agglomerati di grotto, o le vere e proprie secche, dove è possibile trovare di tutto, soprattutto cernie e dotti.
Il primo obiettivo è però rappresentato dal relitto di una grossa motonave, che giace su un fondale di 25 metri, a poche miglia dalla riva. Salvatore vi ha già catturato diverse ricciole e mi spiega che, per insidiare i branchi che vi stazionano sopra, non è necessario scendere sul fondo. Purtroppo, una volta giunti in prossimità della verticale del relitto, vi troviamo già un altro equipaggio intento a pescarci: il ritardo procurato dal temporale ci è stato, in questo caso, fatale. Ripieghiamo su alcune rimonte nelle vicinanze, con l’intento di tornarvi più tardi…
Ci troviamo nei pressi dell’abitato di Torre Mozza e la zona di secche è estesissima, consentendo di lavorare a diverse profondità. Scelgo di restare su una batimetrica comoda, sui 14, 15 metri e di pescare al libero con il solito, lungo arbalete che utilizzo abitualmente in acque limpide. Incontro alcuni saraghi che provo a insidiare aggirando all’agguato un paio di panettoni di grotto. Purtroppo si tratta di animali estremamente diffidenti ed è impossibile averne ragione. Salvatore invece si allontana di un paio di centinaia di metri verso il largo, per esplorare una zona più profonda che conosce bene. Si è armato di un fucile più corto ma altrettanto potente, a doppio elastico, con l’intento di visitare alcune tane a lui note. Non passa molto tempo che vedo la sua boa rientrare verso il gommone. Lo raggiungo. Questa volta l’amico ha fatto centro: una splendida cernia di almeno 6 o 7 chili è appesa sotto il pallone! Salvatore l’ha sorpresa all’imboccatura di una spacca ed è riuscito a centrarla in testa impedendole d’intanarsi. Decidiamo di ripartire. La zona del relitto è ora libera e Salvatore insiste per farmi tentare un paio di tuffi. E’ probabile che i sub che ci hanno preceduto abbiano fatto terra bruciata, ma non si sa mai…
La struttura della motonave appare molto ben conservata, con le alberature che si estendono, come braccia protese, verso la superficie. Plano lentamente arrivando ad adagiarmi sulla murata di dritta del relitto, ove mi fermo all’aspetto. La mangianza è presente a nugoli ma, come prevedibile, nessuna ricciola sembra incrociare nei pressi. Lo spettacolo è comunque notevole.
Le bianche scogliere di Leuca
Salvatore è impaziente di mostrarmi tutte le bellezze del posto e, da raffinato regista, ha tenuto per ultimo il meglio, perlomeno da un punto di vista scenografico. Come definire infatti, se non spettacolare, l’alta falesia, ricca di grotte, insenature, fiordi che caratterizza il versante adriatico della penisola? Ci arriviamo nel tardo pomeriggio, tanto che i primi barbagli del tramonto già indorano la roccia calcarea, chiarissima, delle scogliere a picco sul mare. Vi sarà ancora tempo, tuttavia, per almeno un’ora di pesca.
Il carattere verticale della costa, a picco sul mare, lascerebbe presagire alte profondità, ma così non è, almeno nel tratto che ci fermiamo a esplorare. La scogliera cade, è vero, quasi a 90 gradi, ma si arresta in 8, 10, 15 metri al massimo, su un fondale quasi orizzontale, ricco di frane e concrezioni rocciose che facilitano l’agguato.
Dopo qualche secondo all’aspetto intravvedo un bel sarago ai limiti della visibilità. Non ci spero molto ma provo ad attirarlo con qualche grattatina sul fondo, seguita subito dopo da un assoluto silenzio, mentre mi schiaccio il più possibile al terreno. Incredibilmente lo sparide abbocca e si avvicina lentamente al proprio destino, seppure con estenuante lentezza. Gli sparo poco prima di esaurire il fiato, centrandolo in pieno, con il pesce che rimane sull’asta. Un’azione più che soddisfacente per un sarago davvero bello.
Concluderò la breve uscita con un secondo sarago, più piccolo, e non prima di aver assistito al passaggio di un agguerrito branco di serra. Purtroppo stavo ancora ventilandomi in superficie, mentre i serra transitavano proprio sotto.
Tante catture in poca acqua!
Il giorno successivo il meteo ancora regge e addirittura un sole caldo ci accoglie all’arrivo in porto, dove finalmente anche Filippo ci raggiunge. Per la giornata odierna Salvatore, appagato dalla bella cattura del giorno precedente, si presterà a farci da barcaiolo, mettendo a disposizione la propria conoscenza della zona. Optiamo per tornare sul versante Adriatico, che il giorno precedente ci è apparso ben frequentato anche a profondità tutto sommato modeste. Dopo una breve navigazione sul mare appena increspato siamo sul punto prescelto. Agiremo praticamente a staffetta, con Salvatore sul gommone a gestire gli spostamenti. La battuta, per me, inizia benissimo: sceso a esplorare una franata di massoni alla base di una punta, la trovo colonizzata da un folto branco di fasciati. Mi adagio lentamente sul terreno, con il fucile dissimulato lungo il corpo, cosicchè i fasciati si tranquillizzino. Dopo una decina di secondi d’attesa, un maggiore si materializza alla periferia del branco. E’ tranquillo e, fattolo leggermente avvicinare, lo centro con un tiro lungo ma preciso. Recuperato, ragiono sul fatto che si tratta di una “zonetta” veramente interessante e che merita un secondo tuffo.
Mi sposto leggermente più al largo ove, appena effettuata una capovolta, un branco di ricciolette mi sciama davanti. Tiro d’imbracciata ed ecco uno dei pesci che si dibatte in sagola!
I saraghi comunque ci sono e, contrariamente a quanto mi sarei aspettato, non risultano impossibili da insidiare al libero. Bisogna fare tutto con estrema lentezza: capovolta, discesa e appostamento sul fondo. I maggiori non fuggono e se si riesce a solleticare la loro curiosità senza allarmarli arrivano a tiro. Riesco infatti a catturane due in rapida successione. Ho già quattro pesci in cintura quando gli amici vengono a recuperarmi per la pausa di metà giornata. Filippo ha un pesce davvero bello: un barracuda solitario, intercettato su una punta e colpito con precisione da discreta distanza.
Rifocillatici, ci spostiamo di qualche miglio, oltre la profonda insenatura – un vero e proprio fiordo – detta “del Ciolo”, uno dei punti più suggestivi di questo tratto di costa. La natura del fondale non cambia di molto, è solo un po’ meno profondo ed è possibile pescare, tenendosi sotto la parete, in non più di 8 metri d’acqua.
Decido di puntare ancora sui saraghi, cercando i quali, tuttavia, è una discreta orata a finire trafitta, sempre dopo un breve aspetto.
Verso il tramonto, il giro di pesce sembra modificarsi: grossi branchi di cefali passano veloci a intervalli regolari. Animali di buona pezzatura, però viaggiano così forte che risulta quasi impossibile centrarli. Dopo un paio di inutili tentativi riesco a prenderne uno, poi desisto dal tentare di sparare allorchè comprendo che qualcos’altro potrebbe girare: i serra! Forse sono loro il motivo per cui i cefali corrono così tanto e mi torna in mente il branco avvistato la sera prima.
Infatti eccoli. Un branco davvero nutrito, anche se costituito da esemplari tutti uguali e di non grandi dimensioni. Ne catturo uno e, inspiegabilmente, il branco non si disperde ma resta a gravitare nei paraggi, il che mi consente, pochi minuti dopo, di prenderne un secondo. Spererei in un esemplare di taglia maggiore, ma Salvatore passa a recuperarmi prima che sia riuscito a incocciarlo. Sorte capitata invece a Filippo che, sul gommone, ci mostra un serra davvero bello, catturato anche in questo caso in uno degli ultimi tuffi.
Concludiamo la giornata sull’esterno del molo foraneo di Leuca dove, anche in questo caso, sia io che Filippo avvistiamo un grosso serra nuotare velocemente (forse lo stesso esemplare), però non riusciamo a portarlo a tiro.
La mattina dopo è il fischiare furioso dello scirocco a darci la sveglia. Il forte vento, scatenatosi nella notte, solleva bianchi e scenografici sbuffi di schiuma. Non solo, con queste condizioni è impossibile uscire dal porto, ma addirittura una forte risacca si genera anche all’interno della struttura, costringendo a rinforzare gli ormeggi dei natanti.
Non resta altro da fare, allora, che salire a piedi, con la lunga scalinata, al Santuario di Santa Maria de Finibus Terrae, da cui la vista può spaziare illimitata sull’immensità del mare e la furia degli elementi.
Box Consigli di viaggio
Come arrivare: situata proprio al vertice del “tacco” d’ Italia Santa Maria di Leuca è lontana da tutto, ma il suo fascino sta anche in questo. Per chi scende lungo il versante Adriatico, una volta arrivati a Lecce può convenire deviare per la SS 101 verso Gallipoli invece che proseguire sulla SS 16 per Maglie. Il chilometraggio aumenta leggermente, ma il tempo di percorrenza è di gran lunga più breve consentendo di evitare l’attraversamento di molti centri abitati.
Dove soggiornare: Santa Maria di Leuca è una località turistica molto gettonata e non esattamente economica. Tuttavia, fuori stagione i prezzi si abbassano. Noi ci siamo fermati all’hotel L’Approdo, in posizione panoramica poco sopra il porto.
Cosa mangiare: la cucina salentina non necessita di presentazioni. Consiglio di gustarla in qualche trattoria un po’ appartata, più orientata alla clientela locale che al turista. Ad esempio al ristorante Retrò, nella corte di un’antica abitazione salentina del ‘600, a Castrignano del Capo.
Cosa vedere: in posizione sopraelevata su Punta Meliso, nelle adiacenze del faro, sorge la grande basilica fortificata di Santa Meria de Finibus Terrae, di epoca settecentesca. Vi si può accedere a piedi, dalle adiacenze del porto vecchio, salendo la lunga scalinata edificata negli anni ’30 del secolo scorso per celebrare la fine dei lavori di edificazione dell’acquedotto pugliese. Dalla sommità si gode di una vista straordinaria sulla costa e sull’abitato di Santa Maria di Leuca, che è nota anche per le ville patrizie di origine ottocentesca, almeno una dozzina delle quali ancora in splendide condizioni di conservazione.